mercoledì 18 luglio 2007

L'Italia che cambia, l'impegno dei giovani amministratori

di Alberto Baviera


Nei giorni scorsi l'Anci Giovane ha pubblicato il report della tavola rotonda “L’Italia che cambia: l’ascolto dei nuovi bisogni dei cittadini, le nuove sfide per i giovani amministratori” che si è svolto nel corso dell’Assemblea Annuale dell’ANCI, tenuta a Bari dal 20 al 22 giugno scorsi.

All’incontro hanno partecipato circa 50 giovani amministratori provenienti da tutta Italia.

I lavori, coordinati da Pierciro Galeone Amministratore Delegato di Cittalia - Anci Ricerche, hanno preso avvio con l’illustrazione da parte di Paolo Testa dei risultati di un focus group realizzato con un campione di giovani amministratori.

Sul tema sono quindi intervenuti due discussants: Franco Pizzetti (professore di diritto costituzionale e Presidente dell’Autorità Garante della Privacy) e Mauro Bonaretti (Direttore Generale del Comune di Reggio Emilia).

I loro interventi si sono concentrati su alcuni aspetti:


  • la rivoluzione tecnologica (con particolare riferimento all’ICT) porta a ripensare il modo con il quale le persone comunicano tra loro e collaborano sui luoghi di lavoro, il ruolo dei media e la loro influenza sull’opinione pubblica e, in definitiva, i concetti stessi di “spazio” e “tempo” per come siamo abituai a definirli.

  • stiamo assistendo proprio in questi anni, sia a livello globale (almeno per quasi tutti i Paesi occidentali) che locale, a una “frattura” tra i valori demografici storici e quelli dell’immediato futuro, causata principalmente dai movimenti migratori, dalla crescita delle famiglie monoreddito e dall’invecchiamento della popolazione.

  • l’idea di democrazia e, più ancora, i paradigmi interpretativi tradizionali, dopo il “crollo delle ideologie” non sono più in grado di rispondere alle domande della collettività.

  • occorre ripensare il concetto di cittadinanza, sia nel senso del fisiologico indebolimento delle identità locali, che vanno incontro al “meticciato” delle provenienze e delle appartenenze linguistiche, culturali e religiose; sia per la necessità di definire nuove regole di partecipazione per le generazioni future che, pur provenendo da altri Paesi, contribuiranno alla realizzazione dell’Italia di domani.

  • il rapporto tra pubblico e privato nella definizione e realizzazione delle politiche sta mutando in diverse direzioni: la crescente richiesta da parte dei cittadini di contribuire in modo diretto alla realizzazione e all’erogazione di servizi (sussidiarietà orizzontale), la domanda di autodeterminazione da parte delle comunità locali relativa all’utilizzo degli spazi pubblici (che si manifesta sempre più spesso nell’ostruzionismo alla costruzione di infrastrutture), il consumo del territorio (il cosiddetto sprawl urbano) che contrappone gli interessi di alcuni soggetti a quelli delle generazioni future.

  • il nostro Paese presenta una situazione particolarmente critica riguardo alle infrastrutture fisiche e tecnologiche e ai servizi per lo sviluppo: sono insufficienti (o quasi inesistenti in certe aree del Sud) le reti viarie per il miglioramento della circolazione locale e i collegamenti alle reti primarie. Inoltre, appaiono ancora deboli i servizi di supporto alle imprese, a volte (paradossalmente) sfavorite dalla presenza di strumenti di programmazione locale (PIT, Patti, POR, APQ…) che rischiano di generare confusione e sovrapposizioni di competenze.

Questi (e altri meno significativi) fenomeni hanno ricadute dirette sulla “domanda di politiche” nelle città italiane, che i giovani amministratori hanno voluto focalizzare sui seguenti item:


1. Il relativo “impoverimento” delle fasce reddituali intermedie e, più in generale, la diminuzione del potere d’acquisto, hanno una serie di impatti significativi sulla qualità di vita nelle città:


  • innanzitutto cresce la difficoltà di affittare o acquistare una casa (con tutto quello che ciò significa in termini di perdita dell’autonomia e di fiducia nel futuro), e aumenta il numero di individui che ricorrono ad aiuti per il sostentamento quotidiano (parrocchie, servizi sociali,.. ) ;

  • in alcune Regioni “di cerniera” tra nord e sud, assistiamo a movimenti migratori di breve gittata (i cosiddetti “emigranti del weekend”) che hanno però un forte impatto sulle relazioni familiari.

2. I cambiamenti demografici fanno crescere la domanda di “sicurezza”. Concetto che si deve però declinare secondo differenti aspetti per evitare massimalismi pericolosi:


  • contrariamente a quanto veicolato con insistenza dai media, la sicurezza intesa nella sua accezione di diminuzione della microcriminalità e aumento dell’ordine pubblico, non è così prioritaria nelle richieste dei cittadini;

  • anche se non sempre promossa dai diretti interessati, esiste una richiesta di rimodulazione delle modalità di aggregazione dei giovani, soprattutto per arginare fenomeni di marginalità che spesso rischiano di manifestarsi nel vandalismo;

  • collegata a questa è la carenza di infrastrutture per lo sport e per lo svago, che ancora esiste in certe aree del Paese e che spesso impedisce ai giovani anche solo di tentare di inseguire i propri desideri di realizzazione;

  • dalle fasce anziane della popolazione la richiesta è principalmente quella di avere occasioni di incontro, relazione e realizzazione per riempire i propri spazi di vita.

3. L’urbanizzazione apre la questione dell’uso dello spazio pubblico e della conciliazione degli impegni di vita e di lavoro:


  • i “problemi del traffico” sono percepiti come impedimento al poter disporre del proprio tempo: più che un miglioramento in termini di minori rischi ambientali e minori ricadute sulla salute pubblica, i cittadini richiedono interventi sulla mobilità per poter massimizzare il tempo libero disponibile;

  • è forte la richiesta di poter fruire degli spazi pubblici e che questi siano gradevoli e accoglienti. La crescita culturale delle ultime generazioni porta, non soltanto una domanda di occasioni di intrattenimento, ma anche che la città nelle sua interezza sia “bella” e piacevole da vivere non solo nei momenti di svago.

Molti dei giovani amministratori presenti hanno portato le proprie esperienze e i propri punti di vista. Le questioni principali emerse si possono riassumere in:


  1. Le nostre Città hanno bisogno di innovazione, sia sul piano dei processi decisionali che degli strumenti gestionali: riguardo ai primi occorre saper costruire delle reti di interlocutori qualificati al di là degli schieramenti e delle appartenenze per costruire dei piani strategici condivisi e duraturi; riguardo alla gestione, il dito è puntato contro le strutture comunali, che faticano a superare la logica aziendalista in favore di strumenti che permettano loro di governare le politiche.

  2. È ancora debole la fase di ascolto propedeutica alle decisioni: bisogna costruire degli osservatori a livello locale in grado di supportare le decisioni pubbliche, anche per non rischiare di innescare la partecipazione dei cittadini su decisioni sulle quali non si è sufficientemente informati per difendere le proprie posizioni.

  3. I Comuni debbono affrontare questioni che nascono e si sviluppano ben al di fuori dei loro confini fisici, ma che per primi e in modo più diretto di altri sono chiamati a risolvere:
  • quale possibilità di partecipazione vogliamo dare ai figli di immigrati nati in Italia (i cosiddetti 2G, la seconda generazione) che oggi si trovano senza cittadinanza italiana, ma che sentono in ogni loro manifestazione di appartenere al Nostro Paese;

  • come costruire nuovi sistemi produttivi in grado di superare la piaga del lavoro precario, attraverso la ridefinizione del concetto di cooperazione;

  • come ridefinire il modello di relazione tra le generazioni, prima che diventi irreversibile la crisi che porta i giovani a contare per il proprio sostentamento sulle pensioni dei genitori, a scapito della propria autonomia;

  • come affrontare la “modernizzazione” del proprio territorio in una realtà che spesso vede i vari livelli istituzionali non collaborare tra loro.

A questo quadro di “problemi” bisogna aggiungere una questione condivisa da molti dei presenti: l’inadeguatezza e la debole preparazione di molti amministratori nell’affrontare queste nuove domande che i cittadini pongono. Questi sono problemi seri; per i giovani amministratori è una sfida da cogliere e un'opportunità per crescere, anche qui in questo angolo d'Italia.

sabato 14 luglio 2007

SULLO SCAFFALE

Manifesto per un Islam «moderno»MANIFESTO PER UN ISLAM «MODERNO»
27 PROPOSTE PER RIFORMARE L'ISLAM



Autore: MALEK CHEBEL
Casa editricie: EDIZIONI SONDA
Prezzo: Euro 14,00




Per la prima volta nella sua storia, il mondo musulmano si trova obbligato a definirsi fuori dal dar al islam, geografia sociale, politica e culturale propria dell’Islam. L’Europa sta diventando anche musulmana e l’Islam sta diventando anche europeo. I musulmani nel vecchio mondo sono circa dieci milioni, ma in Occidente continuiamo a sapere poco dell’Islam e solo recentemente stiamo comprendendo che non ne esiste uno solo. Chebel rilegge tutta la tradizione islamica e a partire da una conoscenza profonda del Corano, si interroga: che ne è della libertà di pensiero nell’Islam? E della laicità, dell’uguaglianza tra i sessi, della tolleranza, della democrazia? Attraverso 27 proposte, affronta altrettanti temi cruciali. Oggi non è possibile puntare, per la riforma, né sulle guide religiose né sui governi, ma sulla ragione del singolo musulmano europeo. Per questo li invita a considerare la «guerra santa» inutile e superata, ad abolire definitivamente tutte le fatwa, ad affermare la superiorità della ragione su tutte le altre forme di pensiero e di credenza, e a sottoporre i testi sacri a una nuova interpretazione aggiornata e armonizzata alla cultura europea.

giovedì 12 luglio 2007

DIECI DOMANDE A... Mons. GERMANO ZACCHEO

Mons. Germano ZaccheoLaicità, Stato, CEI, DICO: questi termini sono stati al centro del dibattito pubblico degli ultimi mesi. Le parole di opinionisti e politici hanno creato un clima surriscaldato nel rapporto tra laici e cattolici, alimentando uno scontro che si aggiunge all’altro grande tema dello “scontro di civiltà” tra Islam e Occidente.
Per ribadire l'importanza del dialogo,
ci pare opportuno mettere a confronto le opinioni di alcuni rappresentanti delle comunità religiose casalesi, nella speranza che questa possa essere uno stimolo ad una discussione fruttuosa: la prima intervista è con Mons. Germano Zaccheo, Vescovo della Diocesi di Casale Monferrato dal 3 giugno 1995.

Mons. Germano Zaccheo, cosa pensa delle ricorrenti accuse di intromissione nelle questioni italiane da parte della CEI e del Vaticano?
In primo luogo penso che in Italia si fa molta confusione tra la Conferenza Episcopale Italiana ed il Papa. Il Papa, dal Vaticano, si rivolge a tutto il mondo; quindi le sue affermazioni non sono riferite solo alla situazione italiana. I vescovi invece sono cittadini italiani. Questa confusione è tipica dell’Italia, a causa della sovrapposizione geografica; altrove, invece, è più chiaro che il Papa parla rivolto al mondo, come guida spirituale; mentre la voce dei vescovi locali riguarda la situazione nazionale.

Viviamo in una società sempre più multietnica. Si pensa quindi che serva una laicità forte, dove tutte le religioni restino un fatto privato, così che tutti possano convivere. È corretto?
Per far coesistere nello stesso Paese diverse confessioni religiose, una risposta può essere: tutti stanno zitti. Ma non è l’unica! C’è anche la soluzione opposta: che tutti possano parlare; tranne alcuni casi eccezionali di sette che compiono pratiche illegali. Se laicità dello Stato vuol dire oscurare tutte le tendenze religiose, allora non è più laicità ma è uno Stato che diventa religione laica volta a sopprimere tutte le altre.
La laicità vera è quella di uno Stato in cui tutti i cittadini onesti possano esprimersi e quindi anche le religioni.


Questo principio di laicità mi sembra condivisibile ed è quello che in Italia ha ispirato l’8xMille, che non prevede la religione unica.
Esatto. Per devolvere l’8xMille non c’è solo la casella “Chiesa cattolica”, ma anche “Valdesi”, “Ebrei” e via dicendo. Lo Stato così non sposa nessuna delle confessioni esistenti, ma neanche le esclude. È vero che in Italia la Chiesa ha un ruolo maggiore, ma per il semplice fatto che è la confessione maggioritaria; infatti di coloro che scelgono di devolvere l’8xMille, l’89,9% sceglie la Chiesa Cattolica, cos’ come il 90% dei ragazzi sceglie di frequentare i corsi di religione. Insomma, molta gente dà credito alla Chiesa.

La voce dei vescovi, però, dà spesso fastidio nel rapporto Chiesa–Stato.
Anche i vescovi hanno il diritto di esprimere la loro opinione. Che la Chiesa, o le Chiese, possano esprimere la loro opinione fa parte della vera democrazia: non è interferenza politica, è esprimere il proprio punto di vista, poi ognuno lo accoglierà come crede.

La questione dei DICO.
Vale lo stesso principio. Lo Stato italiano può legiferare come vuole, però non può negare a chi non è d’accordo di dichiarare la propria posizione, se no è uno Stato totalitario. In un Stato democratico, invece, tutti hanno diritto ad esprimersi: i Radicali, come pure la Chiesa. Indubbiamente la forte presenza della Chiesa in Italia, anche come assemblea dei vescovi, può portare qualcuno a credere che la laicità dello Stato in Italia sia sottoposta al volere della Chiesa, il che non è assolutamente vero. D’altra parte, però, le prese di posizione dei cattolici e della Chiesa devono sempre essere rispettose del pluralismo culturale. In partenza occorre dire: «Noi la pensiamo così, anche la nostra opinione ha diritto di cittadinanza nell’opinione pubblica. Non vogliamo imporla».
Fatta questa premessa, c’è però qualcosa che non funziona: perché finché il Papa parla della pace a tutti va bene, se invece egli dice che la famiglia è fatta da uomo e donna ed è sancita dal matrimonio allora dà fastidio.. ma scusate! Chi non è del parere del Papa non si sposerà in chiesa, però non si deve negare al Papa – che parla per tutto il mondo – di dire che la famiglia nella concezione cristiana e cattolica è così.


Ci hanno insegnato che essere cristiani vuol dire compiere certe scelte, dare esempio con la propria vita, quindi non è necessario fare proclami, soprattutto in materie di rilevanza politica. Portato all’eccesso, però, questo vorrebbe dire stare zitti. Cosa ne pensa?
Per quale ragione dovremmo nasconderci nelle catacombe? Se abbiamo diritto di esserci, abbiamo anche diritto di parlare. Perché parlare mi chiedi? Vivere da cristiani è prima di tutto questione di vita, certo, ed è difficile. Però a volte siamo chiamati a dare ragione del nostro comportamento. Le nostre opinioni vogliono essere inoltre al servizio della collettività, del bene comune. Per esempio, noi riteniamo che la famiglia sia un bene comune: per la società, non per la Chiesa. Possono dirci che sbagliamo, ma con degli argomenti e non delegittimando il nostro pensiero.

Grazie all’immigrazione, diverse religioni convivono nel nostro Paese. Com’è possibile l’integrazione e qual è il ruolo dei Cristiani? Aiutare chi soffre o portare il messaggio del Vangelo?
Il dialogo tra le religioni è certo arduo, ma non impossibile. L’ecumenismo riguarda le diverse confessioni cristiane: ha i suoi problemi, ma per lo meno la Bibbia, Gesù, sono punti in comune. Nei confronti, invece, di altre religioni come l’Islam o le religioni orientali, noi non possiamo dire «non portiamo loro il Vangelo».
La prima istanza è quella dell’accoglienza e della carità, certo. Però se qualcuno ci domanda «perché lo fate?», noi rispondiamo che il Signore ce l’ha comandato.
Infine, anche annunciare esplicitamente il Vangelo è legittimo, certo senza MAI imporlo, e questo vale anche per loro nei nostri confronti: imporre no, ma annunciarlo, dirlo fa parte della democrazia e di un pluralismo di opinioni.


Parliamo dei giovani. Quali sono secondo lei le sfide del nostro futuro e i rischi?
Per bambini e adolescenti la vita parrocchiale offre il catechismo e la possibilità di stare insieme in oratorio. Per i giovani – dopo la maturità per intenderci –, che sono il nerbo del nostro futuro, il rischio è questo clima acido nei confronti della religione. Se c’è intorno una propaganda antireligiosa, contro ogni convinzione valoriale e contro Dio in particolare, il rischio è quello del qualunquismo: tutto va bene e nulla mi interessa. Quando il Papa continua a pronunciarsi contro il relativismo, non è che voglia imporre una dottrina a tutti: vuole solo dire che non va bene tutto e il contrario di tutto. Se così fosse, allora sarebbe accettabile anche il nazismo!

In effetti è condivisa da molti la seguente opinione: per convivere con le idee più diverse, occorre non far sentire la propria e rispettarle tutte. Così però è assai difficile tentar di capire cos’è giusto e cos’è sbagliato. Come districarsi in questa jungla?
Il criterio è quello del rispetto della persona umana. Pluralismo non va inteso come relativismo assoluto: dobbiamo metterci d’accordo su alcuni elementi di fondo, su alcuni valori. Il relativismo per cui tutto va bene non mi convince e non serve per l’educazione dei giovani. Vediamo in TV scene di gruppi che sequestrano una ragazzina per “divertirsi” tutta la notte. In base a cosa si può dir loro che è sbagliato, se non basandosi su alcuni valori, se non chiedendo il rispetto di quella che è una persona umana?

Ci possono quindi essere elementi condivisibili anche tra credenti e non credenti, un terreno comune?
Bisogna tornare alla Costituzione. A quell’epoca l’Italia era fortemente divisa; comunisti e cattolici erano su posizioni molto diverse. Però su alcune questioni di fondo si sono messi d’accordo e hanno fatto una Costituzione che ci invidia tutto il mondo, dove il valore della persona umana, il valore del lavoro, il valore della famiglia basata sul matrimonio e molte altre cose vennero scritte e condivise da tutti: marxisti, cattolici, liberali. Oggi riusciremmo ancora in un’impresa del genere?
Il pericolo per i giovani oggi è questo clima di falso laicismo, mentre la vera laicità è quella di una Stato che ha dei valori comuni su cui chiede a tutti di confrontarsi. Non bisogna aver paura di dire che gli stranieri che vengono in Italia devono conoscere la Costituzione e rispettarla.

sabato 7 luglio 2007

SULLO SCAFFALE

Memorie di un sovversivoMEMORIE DI UN «SOVVERSIVO»



Autore: ADRIANO OSSICINI
Introduzione di: FRANCESCO MALGERI
Casa editricie: EDIZIONI STUDIUM
Prezzo: Euro 10,50



Adriano Ossicini offre in queste pagine una meditata riflessione sulla sua lunga esperienza politica e culturale.
Il suo itinerario prende le mosse negli anni in cui il regime fascista cominciava a conoscere il suo lento, ma inesorabile declino. Egli matura, quindi, le sue scelte nel confronto con gli eventi del suo tempo, ma anche nel confronto con personalità di grande rilievo culturale, quali furono, fra gli altri, Giovanni Gentile, Guido Calogero e Don Giuseppe De Luca. Da Calogero, in particolare, egli sembra trovare conferma ai suoi orientamenti, all'idea che la laicità non sia «mancanza di fede, ma il modo di vivere una fede, un orientamento filosofico o ideale in termini non integralistici». La testimonianza ed il percorso politico documentati in queste pagine implicano, anche, un rifiuto delle ideologie, che l'autore interpreta come integralismi e come antitesi all'idea di laicità e di libertà. Egli conclude il suo itinerario sottolineando che la motivazione cristiana a fare politica mantiene ancora oggi un ruolo importante, perché legata ad una grande tradizione filosofica e politica, che si colloca al di sopra dei partiti.