giovedì 25 giugno 2009

CHI HA VOLUTO PERDERE?

Come in altre parti del Paese anche Casale Monferrato ha deciso di farsi amministrare dalla destra, coperta dalla maschera di un sindaco un po' più moderato.
Questo risultato è da attribuirsi a responsabilità diffuse, ma in particolare a chi con arroganza ha voluto imporre una candidatura senza tener conto di chi dava altri suggerimenti.
Ora, soprattutto i più "candidi" e ideologicamente schierati, addossano la colpa a chi non ha voluto subire imposizioni da dirigenti del PD locale e si è smarcato: colpevoli di non aver abbassato la schiena all'arroganza. Si sarebbe dovuto votare il candidato ritenuto sbagliato a prescindere; invece si è lasciata libertà di voto. E fra i due i casalesi hanno scelto. Noi ci siamo sottratti alla scelta: niente destra, ma neanche niente dell'attuale centro-sinistra, campo nel quale ci riconosciamo per valori e proposta politica riformatrice e moderna. Intanto il segretario cittadino del PD si è dimesso assumendosi le responsabilità della sconfitta: gesto dovuto e nobile, ma è solo e soprattutto lui che deve pagare la sconfitta o i suggeritori di un'operazione politica disastrosa. E nella sinistra chi ha giocato ha mettere fuori gioco gli ex popolari, non deve essere a sua volta emarginato se si vuole ricomporre un quadro che porti un centro-sinistra, risanato e senza logiche di potere, alla guida della città?
Pubblichiamo una riflessione importante che sintetizza la posizione dei Democratici per Casale, oggi terzo raggruppamento della città.


La Nota Politica di Historicus

CRISAFULLI: UNA SCONFITTA ANNUNCIATA

Una sconfitta annunciata, quella di Crisafulli nella corsa alla poltrona di sindaco di Casale. “Il risultato è netto e importante – riconosce nella sua prima dichiarazione rilasciata mentre si stava concludendo lo spoglio dei voti – siamo rimasti soli contro tutti”. Poi spiega: “D’altronde, quando il centrosinistra si divide, così come è stato voluto ostinatamente a Casale, il risultato è questo”. L’allusione è alla ‘divisione’ avvenuta nel Pd, che ha visto l’ala moderata presentarsi alle elezioni con una propria lista e un proprio candidato sindaco, Maria Merlo,che al primo turno ha raccolto il consenso del 7% dell’elettorato e per il secondo turno ha tenuto fermo l’impegno: “Patti chiari: né con Demezzi, né con Crisafulli”.
La divisione è maturata dopo un lungo dibattito nel gruppo dirigente del Pd e l’oggetto del contendere era proprio l’individuazione di un candidato che fosse in grado di raccogliere un largo consenso nell’elettorato di centro, dove appunto si colloca quel venti per cento che ha fatto la differenza tra Demezzi e Crisafulli.
“Senza la nostra lista – affermano gli esponenti dei Democratici per Casale – Demezzi avrebbe vinto al primo turno”. Non occorre infatti essere esperti di flussi elettorali per sapere che Maria Merlo ha raccolto molti dei suoi consensi nell’elettorato moderato, di centro, che non è disponibile a votare un candidato sindaco nettamente connotato di sinistra.
Da oltre vent’anni alle elezioni politiche a Casale vince il centrodestra. La vittoria del centrosinistra alle amministrative, da quando c’è l’elezione diretta del Sindaco, è stata ottenuta grazie all‘individuazione di un candidato che fosse gradito a tutta la coalizione ed in particolare a quella fascia di elettorato di centro, che da sempre fa da ago della bilancia.
“Comprendiamo l’amarezza di Crisafulli – affermano i Democratici per Casale – ma lo invitiamo a non gettare subdolamente sugli altri colpe che sono solamente sue e dei suoi sponsor elettorali. Sono loro che hanno voluto ostinatamente dividere il Pd per sostenere la sua candidatura. Un conto è raccogliere molti voti di preferenza nel proprio bacino elettorale, un altro è essere riconosciuti per il ruolo di Sindaco dalla maggioranza dei Casalesi”.
La candidatura di Crisafulli ha ottenuto esattamente l’effetto opposto a quello voluto dai suoi sostenitori; ha cioè compattato l’elettorato di centrodestra intorno al suo candidato portandolo ad una vittoria, che poteva essere evitata.

lunedì 22 giugno 2009

LIBERTA' , NON MARTIRI

Ha solo 16 anni, è una ragazza, ma sa l'importanza della libertà. A 16 anni si può scendere in strada a protestare anche per gogliardia, ma in queste ore in Iran tutti, anche i sedicenni, sanno che si rischia; non è un gioco. Ebbene NEDA è la prima martire di questa lotta per la libertà: uccisa da un cecchino. Non entriamo nella vicende di quel Paese, se vi siano stati brogli, se il Presidente goda di una libera popolarità, se le minacce ad Israele servano a crearsi un alone di autorevolzza nelle masse contrarie ai provvedimenti dei governi israeliani, se l'atomica a fini civili sia un suo diritto, se.., se.. Quando un popolo scende in piazza a rivendicare spazi di libertà, rischiando la vita, questo popolo deve essere ascoltato, non represso. Oggi quindi NEDA diventa il simbolo delle persone libere. Non sappiamo chi fosse, che idee avesse, sappiamo solo che era col padre a protestare contro un regime. Avrebbe avuto una vita più comoda se avesse frequentato serate piacevoli nella villa del Primo Ministro, se lo avvesse soddisfatto mostrando qualche lembo di carne; si sarebbe salvata se fosse stata un cronista di quelli che minimizzano, che lavorano in aziende di proprietà del Primo Ministro. Ma l'Iran ha anche chi è disposto a rischiare per accusare la decadenza del Presidente e di un regime. NEDA è ormai un simbolo per tutti quanti vogliono libertà, in tutti gli angoli della terra, serietà, rigore e moralità dai loro governanti, anche in Italia

venerdì 12 giugno 2009

METTERE KO IL REFERENDUM

Passate le elezioni Amministrative (il ballottaggio per il Comune di Casale Monferrato non ci interessa più: nè con le destre, nè con chi non ha capito che senza un candidato condiviso si sfasciava il centro-sinistra ((anche nel risorgimento il cattolicesimo liberale-democratico sentendosi sconfitto disse: alle elezioni nè con Cavour, nè con Garibaldi)) è ora di pensare al referendum.
Proponiamo una riflessione di Angelo Bertani -giornalista cattolico democratico- per motivare una posizione che va attentamente valutata, considerando che l'obiettivo dichiarato da Segni e Guzzetta è di cambiare l'attuale legge elettorale per farne una con sistema uninominale: un sistema chiaramente tendente al bipartitismo e soffocatore di ogni pluralismo.
"Certo la democrazia non è sempre quella bella festa che vorremmo. Spesso è fatica, incertezza, illusione o delusione. Per qualcuno è stata, ed è, ragione di sacrificio.
Ce ne stiamo accorgendo in questi giorni: la fatica di votare, di scegliere, di spiegare le proprie ragioni, di capire perché tanti altri…
Non è tuttavia una fatica inutile o assurda. La democrazia assume il peso della natura e della storia umana con tutte le sue debolezze e contraddizioni. Non è un’evasione magica o utopistica. È un “camminare attraverso” e anche un “camminare con…”. E non sempre l’ambiente o la compagnia sono come si vorrebbe.
Di più: non sempre noi stessi siamo quel che crediamo di essere; e le nostre ragioni, i nostri progetti sono davvero quel che immaginiamo. Si può sbagliare il giudizio sui fatti, le persone, i progetti. Avvenimenti imprevisti possono sovrapporsi.
Ricordo abbastanza bene le elezioni del ’48 e il clima di allora. Anni dopo cominciai a votare, talvolta cambiando simboli e nomi; eppure più volte, dopo, ho avuto l’impressione di aver sbagliato. Ma su un punto non mi sono mai pentito: votare, partecipare, interessarsi ed esprimere più “consenso per” che “ostilità verso”.
I più difficili di tutti sono stati i referendum. Fin dall’inizio mi hanno dato fastidio, imponendomi di scegliere per o contro qualcosa secondo quesiti mal formulati, strumentali. Di fatto i referendum sono serviti perlopiù a realizzare una “conta” tra gruppi di potere o di opinione utilizzando certi temi sensibili per finalità diverse e non dichiarate. E comunque alle elezioni il cittadino ha almeno un partito e un tempo aveva gli eletti con la “preferenza” ai quali riconoscere coerenza o addebitare infedeltà al mandato ricevuto. Per i referendum neppure quello: domina incontrastata l’eterogenesi dei fini…
Dunque sono andato a votare per le elezioni europee, sperando che il partito e i candidati che ho votato siano limpidi e fedeli agli impegni assunti.
Ma per i referendum?
Credo che si possa votare sì oppure no oppure non votare e ci siano buoni motivi per ciascuna di queste scelte. La legge elettorale vigente infatti è giustamente chiamata porcellum e con il “no” resterebbe confermata e quasi intoccabile; il sistema che nascerebbe dal “sì” non sarebbe molto diverso; creerebbe forse maggioranze più stabili ma istituzioni assai meno rappresentative della totalità dei cittadini. A occhio direi che meglio sarebbe evitare che si raggiunga il quorum non andando a votare e riaffermando in tutti i modi possibili (ma quali?) che nel nostro Paese bisogna rifondare la democrazia. la quale non è assolutamente un pallottoliere per stabilire (salvo errori!) quale confusa aggregazione ha un voto di più, e dunque comanda per cinque o cinquant’anni. La democrazia è la piazza di una città dove tutti sono presenti e portano la loro voce; dove si discute e si spera che prevalgano le idee migliori. Per decidere quali sono migliori non c’è criterio migliore che quello della maggioranza perché gli uomini sono intelligenti e liberi ed hanno pari dignità e quindi è probabile che la maggioranza scelga la cosa migliore. Però bisogna che i cittadini sappiano di che cosa bisogna decidere; siano informati dai media, possano dialogare ed anche cambiare idea. Inoltre su alcuni temi può esserci una maggioranza, su altri un’altra. La delega ai rappresentanti dev’essere molto prudente, controllata, revocabile; e tutti i cittadini devono essere in grado non solo di fare gli arbitri al momento delle elezioni, ma possono partecipare attivamente giorno dopo giorno, esprimersi e condizionare i propri rappresentanti su ogni argomento. Non c’è democrazia accettabile senza una rappresentanza proporzionata (non necessariamente proporzionale). Tutti devono avere voce, anche se la governabilità può essere garantita da procedure e tempi certi. Ma non si può ammettere, nel nome di una governabilità assai più formale che reale, che si crei una dittatura della maggioranza. Né dittatori, né principi, né imperatori.
Nel volgere del tempo (oggi cinque anni sono un secolo!) possono accadere crisi, guerre, rivolgimenti che rendono del tutto obsoleta e falsa la “rappresentanza” maggioritaria, tantopiù se essa nascesse, come potrebbe, già con un premio eccessivo. Si pensi al esempio: se vincesse il “Sì” al referendum, il primo partito, magari col 30 o 35 per cento, si ritroverebbe una comoda maggioranza assoluta alle Camere. Un governo potrebbe prendere decisioni irreversibili avendo dietro a sé, in quel momento e su quel tema, magari soltanto una minoranza di un quarto, o meno, dei cittadini. In contesti simili già molti dittatori si sono lanciati in guerre e follie…
E quanto alla governabilità: che senso ha spaccare il Paese in due (o tre) parti frontalmente contrapposte e ostili? Ne verrebbe coesione sociale, continuità di linea economica e politica? Non vediamo già ogni giorno, in tv e per strada, i frutti perversi di questa logica?
Si dicono queste cose, qui ed ora, non per suggerire di votare in un modo o nell’altro; ma per domandarsi insieme “quale democrazia” costruire. E per scongiurare tutte le forze politiche a riprendere in mano, questa estate o questo autunno, le fila di un dialogo orientato a dare all’Italia una cultura e un’etica dignitose; e un sistema elettorale e istituzionale adeguato, a cominciare dalla effettiva democrazia all’interno di ciascun partito. Il tempo c’è. Per fortuna c’è anche l’Europa che oggi attutisce certi pericoli. Ma il problema e i pericoli esistono davvero.
(di Angelo Bertani - da "Adista - Segni Nuovi n. 63)