mercoledì 28 febbraio 2007

GARANZIE E LIMITI DI UNA POLITICA

Discorso pronunciato da Aldo Moro ai Gruppi Parlamentari D.C. il 28 febbraio 1978. Dal resoconto di Il Popolo.

Cari colleghi ed amici, io mi sento gravato da una grande re­sponsabilità perché ho colto da tante parti una sollecitazione ad intervenire nel corso di questo dibattito; l’ho colta in particolare nelle parole, come sempre affettuose, dell’on. Scalfaro, e mi è sem­brato così che parecchi amici pensassero, a torto, che io abbia la chiave per il superamento delle nostre comuni difficoltà. Ho vissu­to alcuni anni intensi in diverse esperienze della DC e sono lieto sempre di mettere a disposizione il frutto di questa vita spesa al servizio del Partito, ma credo che davvero nessuna persona possa da sola vincere l’ostacolo che è dinanzi a noi: dobbiamo vincerlo insieme alla nostra concordia, nella nostra solidarietà, nella nostra consapevolezza.
E quindi devo dire che non è stato un gioco di parole quel che io ho detto ieri, all’on. Scalfaro che desideravo ascoltare, desideravo es­sere illuminato: era una sincera manifestazione di una volontà di dialogo tra noi, nel corso del quale effettivamente ho potuto sag­giare la validità di alcuni miei convincimenti, alla luce delle osser­vazioni che in un senso o nell’altro sono state avanzate da questa assemblea altamente responsabile.
Consentitemi di dire, con assoluta sincerità che questa è stata una bellissima assemblea, ricca d’interventi seri, solidi, responsa­bili, pur nella loro diversità, come è naturale che sia. E dicevo poc’anzi all’on. Piccoli che non mi pento certamente di aver trovato naturale un incontro di tutti i parlamentari, sopratutto in una crisi come questa: avendo piena fiducia nella Democrazia Cristiana e nella verità; perché le cose che certamente non sotto utili sono le cose che si nascondono, che si riducono a serpeggianti mormorazioni, mentre non sono mai cattive le cose che vengono dette con sincerità nelle sedi proprie, nell’ambito di un dibattito democrati­co e responsabile come quello che stiamo facendo. Quindi credo che le cose dette, e quelle che saranno dette successivamente, siano un contributo importante al superamento della crisi.
Sono state dette cose che mi pare non si possano in nessun modo ricondurre ad una meschina ragione di interessi, ma cose, comun­que formulate che si riportano agli ideali, a quei modi di vita, a quelle ragioni di essere che sono proprie della Democrazia Cristia­na.
Mi pare che questa volta l’accusa di portare avanti nel dibattito di piccoli interessi particolari, ci sia stata meno nella stampa, la quale ha rispettato il dibattito serio e profondo che si è svolto nella Democrazia Cristiana, ha compreso quanto fosse importante che il nostro Partito andasse fino al fondo nella ricerca della verità in un momento come questo, che certamente è un momento di grande responsabilità.
Abbiamo, credo, lavorato tutti in questo periodo, ciascuno nel proprio posto, chi in modo febbrile, chi in modo un po’ più calmo. Abbiamo fatto tutti il nostro dovere. Tutti abbiamo responsabilmente affrontato il nostro compito, consultandoci tra noi e tenendoci in contatto con i Gruppi Parlamentari e la base del Partito. E credo l’abbiamo fatto con spirito di unità, di concordia, con un continuo collegamento. E voi, cari amici, avete fatto la vostra parte preparando l’assemblea che oggi si celebra e dalla quale noi ci proponiamo di trarre delle indicazioni date dalla direzione del Partito.
Pos­siamo dire, quindi, che abbiamo cercato, seriamente e lentamente la verità, la verità diciamo nel senso politico, cioè la chiave di riso­luzione delle difficoltà politiche nel corso di queste settimane. Non dico a caso “lentamente”: mi rendo conto che c’è una certa punta polemica, anche se mi sembra attenuata nel corso di questa crisi, nei confronti di questa procedura cosi articolata che noi abbiamo adoperato e che ci ha portato a riflettere, a scambiarci idee, a riunirci in Direzione a sentire i direttivi dei gruppi e poi, a ritrovarci ancora. È una procedura un po’ lenta, di fronte a certo rapido pro­cedere di alcune democrazie occidentali; vorrei dire non di tutte, perché si parla dell’Italia come di un caso a sé, ma l’Olanda ha im­piegato circa nove mesi per risolvere la sua crisi (è vero che ha un primato di una ventina di partiti, al quale noi non siamo ancora giunti e speriamo di non giungere) anche il Belgio ha conosciuto crisi di mesi, non di settimane.

Responsabilità nuove per la Democrazia Cristiana
Ma, a parte questo, voglio dire che la mancanza di una vera pole­mica intorno al moderato snodarsi della crisi si deve alla consape­volezza che le forze politiche e l’opinione pubblica hanno della difficoltà della situazione della importanza nuova e decisiva di quesiti che ci sono proposti del carattere altamente responsabile delle deci­sioni che noi dobbiamo prendere.
Ora, difronte a questo, certo, si possono concepire degli ultima­tum, di qualsiasi natura, taluni dolci nell’aspetto altri più duri; ma ultimatum di qualsiasi genere che effetto avrebbero di fronte ad u­na maturazione che tende a cercare la via di uno sbocco positivo? Avrebbe un qualsiasi ultimatum, il significato di una stretta che ri­schierebbe di fare precipitare le cose verso una conclusione negativa. Non abbiamo perso tempo, né abbiamo giocato con nessuno. Abbiamo cercato di riflettere seriamente nel corso di queste setti­mane sulle cose che erano dinanzi a noi; e che questa lunghezza della nostra meditazione non sia stata inutile è dimostrato io credo anche da questa assemblea di oggi, la quale ha registrato, come era naturale che registrasse, delle posizioni vigorose, vivacemente polemiche; ma ha registrato anche una serie di indicazioni positive, di intenzioni costruttive, ha dato il senso di una accresciuta consapevolezza della responsabilità che ricade sulla Democrazia Cristiana. E questo si deve al vostro senso di responsabilità, ma si deve anche al modo, al ritmo con cui le cose sono state condotte; ne chiediamo scusa al Paese, ma speriamo di potere dimostrare che questo ritmo non è stato inutile e che, in definitiva ne viene un vantaggio in termini di costruttività nella nostra vita politica.
Siamo dinanzi ad interrogativi che, qualche volta, ho definito ango­sciosi, come è stato rilevato dal Corriere della Sera in un articolo di linguistica politica, che mi riconosce una certa sobrietà, ma mi addebita il fatto di aver pronunziato una volta il termine “angosciosi”. Effettivamente si tratta di interrogativi angosciosi, si tratta di alcuni tra gli interrogativi più gravi più ricchi di futuro, in un senso che noi cerchiamo faticosamente di stabilire, di quanti non ce ne siano stati proposti nel corso della nostra storia trenten­nale.
Si può dire che dal momento nel quale si è determinata l’esclusio­ne del Partito Comunista dall’area del governo; abbiamo avuto mo­menti difficili, abbiamo avuto delle svolte; sopratutto nel momento del centrosinistra, abbiamo sentito che incominciava qualche cosa di profondamente nuovo, ma non abbiamo mai fino ad oggi sentito che eravamo di fronte ad alcuni grandi interrogativi, ai quali si deve rispondere con un profondo esame di coscienza.
Siamo davanti ad una situazione difficile, una situazione nuova, inconsueta, di fronte alla quale gli strumenti adoperati in passato per risolvere le crisi - crisi che spesso ci lasciavano tanti margini - non servono più: è necessario adoperare qualche altro strumen­to, guardare le cose con grande impegno, con grande coraggio, con grande senso di responsabilità, e con grande fiducia nella Democrazia Cristiana.
Queste cose nuove ed inconsuete nascono dalle elezioni, ma han­no una loro origine un po’ più lontana. Già prima delle elezioni vi è stato il risultato del referendum, che ha certamente sconvolta la geografia politica italiana.

Le elezioni hanno avuto due vincitori
Prima delle elezioni politiche vi sono state quelle regionali, che hanno registrato un forte mutamento di opinioni politiche.
Prima delle elezioni vi è stata quella dichiarazione, che ha pesato e pesa tuttora nella realtà italiana, con la quale senza successivi ri­torni e pentimenti, il Partito Socialista ha dichiarato chiusa l’esperienza di centrosinistra.
Prima delle elezioni abbiamo visto rattrappirsi l’antica maggio­ranza di centrosinistra in un Governo a due che faceva fatica a vive­re in considerazione della quotidiana contestazione dei partiti non presenti (il che induce a comprendere quale sforzo di abilità, di pazienza, di serenità abbia dovuto compiere il Presidente Andreotti per gestire un Governo di soli democristiani, con le astensioni degli altri partiti). Già prima delle lezioni avevamo avuto un Governo monocolore con la semplice astensione socialista, ed infine siamo scivolati nelle elezioni.
Quindi è una crisi, un deterioramento che ci costringe a riconoscere che qualche cosa da anni, è guasto, è arrugginito, nel norma­le meccanismo della vita politica italiana.
E, di fronte a questo logoramento, propiziato da una stampa pressoché unanime nel denigrare e nel dichiarare decaduta dal trono ed anche dalla sua semplice condizione civile la Democrazia Cristiana, alla luce di questa esperienza, si può ritenere che il ri­sultato elettorale del 20 giugno, pur creatore delle novità e delle difficoltà di fronte alle quali ci troviamo, sia stato una risposta sostanzialmente positiva alla distruzione della Democrazia Cristia­na, ha tuttavia risposto confermandoci nel ruolo di primo partito italiano con un soprassalto di consapevolezza che fa certamente onore all’opinione pubblica italiana, che si sa ritrovare nei grandi momenti e si è ritrovata in questi trenta anni sempre e natural­mente più meritoriamente in un momento come quello, intorno al­la Democrazia Cristiana, che ha riconsacrato come il più grande Partito italiano.
Perciò noi abbiamo avuto una vittoria ma non siamo stati i soli. Anche altri hanno avuto una vittoria: siamo in due vincitori, e due vincitori in una battaglia creano certamente problemi.

Una soluzione trovata entro i margini ristretti
Se avessimo dovuto guardare alla situazione così come si presen­tava - con la Democrazia Cristiana riconfermata nella sua forza e nel suo ruolo, ma una Democrazia Cristiana non più in condizione di aggregare una maggioranza politica intorno a sé in senso tradizionale e, a fronte di questo con una nuova, grande potenza che si era avvicinata in modo sensibile alla forza della Democrazia Cristiana - credo che la risposta, nell’ambito di una rigorosa logica costituzionale, la risposta da dare alla evidente incompatibilità dei due vincitori delle elezioni (in misura diversa, ma due vincitori) e al ritiro, alla riserva delle altre forze politiche, avrebbe dovuto essere lo scioglimento delle Camere e la indizione di nuove elezioni, per la ricerca di omogeneità che in tali circostanze apparivano impossibili.
Lo sviluppo degli eventi ha dimostrato che non soltanto le “omo­geneità” erano impossibili in quel momento, nel fuoco della pole­mica elettorale, ma che continuano ad essere impossibili anche og­gi, a distanza di tempo e anche al di là del comprensibile risentimento di forze idealmente e politicamente importanti che la situa­zione delle cose, che una spinta alla polarizzazione aveva in qual­ che modo sacrificato.
Questa era la situazione cui avremmo dovuto rispondere, secon­do una logica ristretta, con nuove elezioni. Non l’abbiamo fatto, non abbiamo tentato di farlo, credo, concordemente, per rispetto del Paese con i suoi problemi accresciuti di importanza e di gra­vità; non l’abbiamo fatto per il timore di una ulteriore polarizza­zione tra le forze estreme. Abbiamo invece cercato una soluzione positiva, nel limite ristretto che la situazione ci aveva lasciato.
Non abbiamo voluto queste elezioni perché esse, in definitiva avrebbero determinato un accentuato massiccio reciproco condi­zionamento dei due grandi partiti; e non soltanto avremmo esauri­to sempre di più forze che tutti conveniamo essere vitali nel nostro sistema, ma avremmo anche creato, consolidato, una situazione di massiccio condizionamento reciproco, cioè di possibile paralisi reciproca dall’uno all’altro dei due grandi schieramenti.
Questa che è la caratteristica della situazione di oggi sarebbe di­ventata maggiore ancora, se avessimo obbedito alla sollecitazione di una rapida rettifica di una situazione che, malgrado tutto, non ci andava bene.
Credo di avere detto io per la prima volta, parlando a Mantova - e non me ne pento perché quando si dice la verità non bisogna dolersi di averla detta - che noi siamo in condizioni di paralizzare in qualche modo il Partito Comunista, ed il Partito Comunista è in grado, a sua volta, di paralizzare, in qualche misura, la Democra­zia Cristiana.
Questo, che riflette la verità delle cose è stato poi ripreso da par­te comunista. Ma in che senso deve essere inteso? Deve essere inte­so nel senso che noi dobbiamo, con un atto di coraggio, sfuggire al­la logica di un condizionamento opprimente e paralizzante, per fa­re, come, abbiamo cercato di fare qualche cosa di costruttivo, re­stando nello sfondo quel ricorso elettorale, che non abbiamo volu­to fare allora, che non abbiamo concordemente in mente in questo momento, mentre ci si pone il problema di non essere massiccia­mente condizionati, ma di trovare anche, in accordo con le altre forze politiche, un’area di concordia, un’area di intesa tale da con­sentire di gestire il Paese in un momento come questo, finché du­rano le condizioni difficili nelle quali la storia di questi anni ci ha portato.
C’è stata qualche volta, e continua ad esserci, una specie di pole­mica specifica contro la Democrazia Cristiana, quasi che su di essa ricadesse la responsabilità di questo stato di cose, di questa impossibilità di riprodurre lo schema classico del rapporto maggioranza-­minoranza; c’è stato, sopratutto, una fase di fastidio, sulla scia dell’abitudine di addebitare tutti i mali alla Democrazia Cristiana, da qualsiasi parte, dimenticandosi delle reali condizioni del Paese e dello schieramento politico.
Ebbene, di fronte a questo, noi, cari amici, che parliamo con i no­stri elettori, dobbiamo pacatamente ricordare, senza inutili polemi­che, che la decisione di isolarsi tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista è una decisione di importanti partiti storici i quali hanno ritenuto che, in quel momento, non fosse possibile costituire una maggioranza nel senso tradizionale.

Rispettare e capire le altre forze politiche
E questo io credo che debba essere oggetto di rispetto da parte nostra; l’ho detto più volte e lo ridico, perché credo che non sia giusto e non sia utile di dare un cattivo significato polemico al fatto che siamo rimasti in certo modo soli. È inutile fare una ritorsio­ne. Possiamo anche renderci conto delle ragioni degli altri. Ecco la necessità ogni tanto di guardare più a fondo nelle cose, di guarda­re sempre realisticamente quello che è, ma qualche volta gettare l’occhio più al fondo, rispettare le altre forze e capire perché, pur creandoci tanti problemi e credo creandone anche al Paese, abbia­mo assunto questa posizione.
Queste forze hanno visto emergere un altro polo di presenza nel­la vita politica, di segno diverso, di fronte al quale hanno alcuni elementi in comune, una certa tradizione laica, senso di novità, desiderio di immaginare, di sperimentare qualche cosa di nuovo in una esperienza che corre da tempo su alcuni binari, anche se ciò non è stato certamente di danno al Paese. Ecco, noi dobbiamo rispettare queste cose, le dobbiamo capire, ma le dobbiamo anche ricordare a coloro i quali sono troppo frettolosi nell’attribuire ogni responsabilità alla Democrazia Cristiana.
Ci siamo dunque trovati relativamente isolati; dico relativamen­te perché non solo non abbiamo un fronte di partiti ostili contro di noi, ma, fatto davvero nuovo, tra questi partiti non ostili, c’è anche il Partito Comunista. Perciò noi abbiamo di fronte uno schiera­mento politico nel quale i partiti, da quelli della nostra antica tra­dizione comune di governo fino al Partito Comunista, sono in atteggiamento non ostile nei confronti della Democrazia Cristiana.
Parlo quindi di una Democrazia Cristiana soltanto relativamen­te isolata e concordo con gli amici, Zaccagnini, Galloni, che hanno rilevato come in questi mesi si sia potuto riaprire un po’ il discorso, disgelare un po’ le relazioni con quei partiti, ed è stata cosa ottima e credo da accreditare gli uomini che hanno cosi validamente contribuito, come appunto Galloni ha fatto, a portare innanzi que­sto dialogo includendo il piccolo ma importante Partito Liberale, giunto cosi un po’ tardi, in verità alla solidarietà democristiana, giunto in momenti di emergenza, mentre forse, se ci fosse arrivato prima, le cose sarebbero state migliori.
Non abbiamo perduto in senso proprio l’egemonia, ma certamente la nostra egemonia è attenuata.
Ecco, allora, avendo rifiutato soluzioni drastiche, soluzioni di impeto, siamo diventati non omogenei, siamo non omogeneizzabili, e dobbiamo perciò ritornare alla fonte del potere, alle elezioni. Ab­biamo cercato dei rimedi, misurati, degli accomodamenti che non si sono dimostrati cattivi nella loro attuazione anche se all’inizio so­no stati guardati, e non poteva accadere che non fossero guardati così, con precauzioni, e preoccupazioni.
Abbiamo operato, si è detto, nel quadro del confronto. Certa­mente questa espressione meriterebbe di essere approfondita nel suo significato; certo, essa, per essere una linea politica nuova, di anni nuovi, rispetto al passato deve contenere qualche cosa che ci ricolleghi a quel tanto di novità problematica, discutibile quanto si voglia, ma a quel tanto di problematicità che è nel Partito Comuni­sta e nel rapporto tra Partito Comunista e gli altri partiti.
E quindi abbiamo cercato di adattare e di approfondire questa linea di contatto reciprocamente istruttivo, sulla base non di un urto polemico quotidiano, come era nella tradizione a suo tempo naturalmente comprensibile, ma sulla base di un certo spirito costruttivo per ricercare se tra queste forze, in particolare tra queste due forze antitetiche, alternative, della tradizione italiana, vi potesse essere qualche punto di convergenza per lo meno su alcune cose, se vi fosse l’interesse a capirsi reciprocamente intorno ai modi di soluzione di alcuni problemi del Paese.
Ed è in questo quadro di un confronto così intenso che abbiamo potuto inserire - ripeto con qualche iniziale disagio, ma poi con un riconoscimento positivo, sia per le realizzazioni, sia per lo stes­so modo di essere della formula - la non sfiducia, una sorta di ac­costamento obiettivo di atteggiamenti non negativi dei partiti. Questo atteggiamento dei partiti includeva anche il Partito Comu­nista. Ciò era una novità: non è che noi, cari amici, non ce ne sia­mo accorti, ce ne siamo accorti.
Persone della vostra acutezza hanno certamente colto questo ele­mento di novità: voi avete avuto presente il contesto storico, il fatto elettorale, gli anni che stavano dietro di noi, avete guardato, abbiamo guardato, al domani, abbiamo ritenuto che questo allinea­mento in forma di obiettivo e non negoziato contributo del Partito Comunista in forma di astensione, potesse esser accettato.

Cosa ha significato l’accordo di programma
Abbiamo avuto alcune decisioni in materia istituzionale, anche esse motivo di turbamento, ma poi comprese nel loro significato; e poi abbiamo avuto ad un certo momento, un accordo sul programma, e tutto nella logica di quel non rompere tutto, come si poteva essere tentati di fare, non rompere tutto, per la difficoltà di imma­ginare che cosa sarebbe sopravvissuto a questa generale rottura, e quindi abbiamo cercato a un certo momento, e qui con molte comuni trepidazioni di dare un contenuto più positivo di sostituire, al non opporsi al programma, un qualche accordo parziale - abbiamo detto - su alcuni particolari, sulle cose da fare, per un certo tempo.
Abbiamo detto che questa operazione non comportava la forma­zione di una maggioranza politica (in verità questo non è stato nemmeno sostenuto da altre parti), abbiamo detto che si trattava però di un fatto che aveva un suo significato politico. Cioè abbia­mo arricchito ancora il quadro di questo confronto ravvicinato, obbedendo alle esigenze del Paese, perché una volta dato che non si vuol rompere, perché si ha paura delle conseguenze per il Paese, si è naturalmente cercato con ogni cautela, con ogni rispetto per la identità e la sensibilità della Democrazia Cristiana, di fare qualche cosa di positivo, di programmare - ecco il senso dell’accordo di programma - programmare un po’ quell’azione di governo che altrimenti il Presidente del Consiglio doveva faticosamente improvvisare di giorno in giorno cercando poi di renderla accettabile per le Camere.
C’è una polemica, che io credo francamente ingiusta, intorno al modo come noi abbiamo gestito questo programma; non che esso abbia avuto grandi attuazioni, perché non ne ha avuto il tempo; ma respingo fermamente l’idea che vi sia stata una volontà della Democrazia Cristiana di bloccare l’attuazione del programma. Potremmo dire che in alcuni casi il blocco è venuto da altre parti e da parte nostra credo che abbiamo veramente giocato tutte le carte su questo terreno e abbiamo persuaso il Partito della bontà di questa idea, del suo valore positivo, si intende, nel quadro non tradizionale in cui ci si inseriva. Questo è diventato patrimonio del Partito. Ci è accaduto di cogliere con soddisfazione, nel corso di questa crisi, indicazioni in senso favorevole sull’accordo di programma integrato anche da un’intesa di politica estera.
Io non voglio addentrarmi nella storia di questa crisi perché non mi piace fare il processo agli altri partiti; è vero che c’è stato del nervosismo di base nel Partito Comunista, che vi è stata una decisione che a noi è parsa per lo meno affrettata, e devo dire che non c’era impegno di durata dell’accordo a sei, no, questo impegno preciso non c’era, c’era l’attuazione dell’accordo come tale, ma noi abbiamo creduto che esso po­tesse andare avanti ancora qualche tempo. C’è stata qualche cosa, forse l’aggravarsi della situazione, forse l’inquietudine della base sindacale, che ha portato a questa decisione avvenuta al di fuori di noi.

Capaci di flessibilità e di assoluta coerenza
Ecco, questa è la storia che sta dietro le nostre spalle, e adesso si tratta di vedere che cosa si deve fare di fronte a questa crisi che è scoppiata coinvolgendo prima alcuni dei partiti intermedi e poi alla fine, con valore determinante, il Partito Comunista. Ed è qui natu­ralmente il nucleo centrale delle nostre riflessioni, dei nostri consensi, dei nostri dissensi, ma soprattutto vorrei dire delle nostre comuni preoccupazioni. Cioè dobbiamo domandarci: è possibile an­dare avanti, è sperabile di potere andare avanti nella soluzione della crisi camminando in modo lineare nell’ambito di una direttiva che è stata tracciata, che ha già avuto alcuni tempi di svolgimenti, ma che è rimasta valida nel suo significato complessivo?
Che cosa dobbiamo fare? Abbiamo delle difficoltà, ci si vuol mettere a tacere, ci si vuole chiamare in campo aperto? Dobbiamo fare qualche cosa? E nel fare qualche cosa rischiamo di cambiare la no­stra linea e quindi di menomare la Democrazia Cristiana, la iden­tità della Democrazia Cristiana ed il suo dialogo aperto è costrutti­vo con l’opinione pubblica?
Questo è il nostro quesito. Che cosa possiamo fare per non rom­pere, per non distruggere, per non far nulla di catastrofico, ma anche senza guastare delle cose che sono essenziali per noi, che sono ragioni di vita per la Democrazia Cristiana?
Questo è il nostro punto: e qui vorrei ricordare - e non avendo in mente nessun contenuto, come io cercherò di dire, ma avendo sempre in mente la storia della Democrazia,Cristiana, questi trent’anni che hanno visto tante storie, se volete svolte piccole a fronte dei problemi ben più impegnativi che stanno oggi dinanzi a noi ­qual è la garanzia reale della nostra più che recente guida della vi­ta politica italiana.
Nella nostra opposizione al comunismo? Certamente abbiamo vissuto, ci siamo fatti forti, siamo restati forti, come garanzia di al­ternatività di fronte al Partito Comunista.
Ma, pur con questo sfondo, ci siamo trovati dinanzi una infinità di problemi, di esigenze di carattere sociale, di carattere civile, di carattere umano e di carattere politico; ci siamo trovati tante volte di fronte a delle scelte di forze politiche, dalla scelta centrista fino alla scelta di centrosinistra e sull’umano, sul sociale, sul civile, sull’economico, sul politico noi abbiamo saputo cambiare quanto era necessario e quanto era possibile in aderenza alla nostra coscienza democratico - cristiana.
Se non avessimo saputo cambiare la nostra tattica, la nostra im­postazione quando era venuto il momento di farlo, noi non avrem­mo tenuto, malgrado tutto, per più di trent’anni la gestione della vita del Paese. L’abbiamo tenuta perché siamo stati capaci di fles­sibilità ed insieme capaci di una assoluta coerenza con noi stessi, per la quale in nessun momento noi abbiamo smarrito il collegamento con la radice profonda del nostro essere nella società italia­na.
La nostra flessibilità ha salvato fin qui, più che il nostro potere, la democrazia italiana. Lo dico sapendo che le cose oggi sono di­verse, sono molto più grandi, hanno bisogno di una misura, e di un limite perché le cose che noi facciamo e alle quali guardiamo insie­me problematicamente, cari amici, si inseriscono nella linea della flessibilità costruttiva, e non nell’ambito delle posizioni incoerenti e suicidi.
È necessario quindi guardare alla situazione e guardare alle al­ternative; qualche volta mi è stato estremamente fastidioso di do­mandare ad amici cori i quali si discuteva con tanta buona fede, con tanta amicizia, descrivendo tutti gli aspetti negativi della si­tuazione, mi è stato assai fastidioso domandare: ma quali sono le alternative? Le alternative a qualche cosa che non vogliamo fare, a qualche cosa di grave che nessuno di noi vuole fare.
E quindi assicuro che quando io dico questo non intendo rivol­germi con una sfida a nessuno degli amici. Questa domanda credo che ciascuno di noi se la sia posta e se la ponga angosciosamente ogni giorno: quali sono le alternative possibili in presenza di una crisi che è quella che è, in presenza di queste sollecitazioni, in pre­senza di certi rischi che noi cogliamo all’orizzonte? Quali rischio cogliamo all’orizzonte? Dico queste cose perché riflettiamo tutti in­sieme. E quando io fossi, certo che abbiamo ritenuto insieme e de­ciso insieme, io con tutti gli amici, sarei fermissimo, felice di andare con voi qualunque cosa accada, ma l’importante è che noi sap­piamo bene che cosa si profila all’orizzonte.
Che cosa io vedo come possibile, sulla base di quello che si dice, che si può intuire, che può anche non essere vero, può incontrare delle difficoltà obiettive, ma che ha comunque un certo grado di pericolosità che noi, cari amici, dobbiamo cogliere della nostra re­sponsabilità?
Ecco, io vedo il rischio di una deviazione nella gestione del potere (del potere nel senso buono della parola, come credo che sia per noi e per chiunque altri), cioè di quello che si dice di passare mano.
Non passare la mano da un uomo all’altro, come accadeva una vol­ta quando avevamo tanto spazio, ma passare la mano da uno schie­ramento all’altro. È una cosa possibile? È una cosa probabile? Io non lo so. Aleggiandola tra le cose problematiche, tra le tante cose problematiche che devono occupare la nostra coscienza.

Senza esitazioni la difesa degli elettori
[…]
Non è det­to che le elezioni non possano essere, desiderate da altri, anche se altri pure si rendono conto del peso che esse avrebbero. Per noi certamente esse risponderebbero ad un requisito della nostra di­gnità; dire all’elettore: ritorno a te, fedele, limpido; ecco un atto di testimonianza, ma poi ci sono altri aspetti: logoramento delle forze intermedie, ripristino presumibile, in questa fase politica, della si­tuazione di stallo.
Io credo che dobbiamo domandarci sempre di fronte anche ai grandi fatti politici; che non sono regolati dalla pura convenienza (io credo che la politica sia pura convenienza, ha coefficienti di convenienza ma non è pura convenienza; la politica è anche ideale, diciamolo noi, visto che non lo dicono gli altri nei nostri confronti): di fronte a questa situazione vogliamo fare della testimonianza? Cioè una cosa idealmente perfetta, rendere omaggio alla verità in cui crediamo, ai rapporti di lealtà che ci stringono al Paese? O vo­gliamo promuovere una iniziativa coraggiosa, una iniziativa che sia misurata, che sia nella linea che abbiamo indicato e sia pure nelle condizioni nuove nelle quali noi ci troviamo?
[…]
Io ho risposto: questa è la cosa più pulita e quindi adatta a una coscienza cristiana; è una cosa estremamente pulita, è bella e forse riscatta, con il suo valore spirituale, tante cose meno belle che ci sono nella nostra esperienza. Ma se io dovessi decidere in base alla difesa, che pur tocca a noi, di alcuni interessi, non grandi interessi, ma nor­mali, i legittimi interessi di questi 14 milioni di elettori, se io doves­si scegliere per quanto riguarda la loro integrità, la loro difesa, ec­co, io avrei qualche esitazione (non ho scelto, non scelgo, dico avrei della esitazione) a scegliere la via della testimonianza.
Viceversa non esiterei più certamente a passare alle elezioni, a passare all’opposizione se mi si rompesse nelle mani il meccani­smo di ideali e di valori che abbiamo costruito insieme nel corso di questi anni… Se si trattasse di questo, di fare anche l’ultima elezio­ne per mantenere fede ai nostri ideali democratici cristiani, lo do­vremmo fare perché la posta in gioco lo comporterebbe.
Se, invece, vi è, nella pazienza, nella ricerca, nel ritmo della no­stra conduzione della crisi, una via che ci si apra dinanzi, che ci permetta di restare sostanzialmente nella nostra linea anche in ter­reno nuovo più esposto, allora io sarei certamente più cauto. Il ter­reno nuovo è più esposto, sì, cari amici, ma in questo terreno nuo­vo e più esposto ci stiamo già dentro, nella vita politica ci stiamo dentro, forse, anche per qualche errore di amici periferici, ma an­che per tante situazioni obiettive difficili da dominare in innume­revoli articolazioni di questo stato democratico che è così multiforme che nessuna conquista elettorale ce lo può dare tutto.

Ci sono tuttavia dei limiti che non possiamo superare
Ci stiamo in mezzo con gli altri, nella vita sociale, ci stiamo nei sindacati, ci stiamo nelle associazioni civili, ci stiamo negli organismi culturali, ci stiamo nelle innumerevoli tavole rotonde. Siamo presenti in questa realtà sociale alla quale io, naturalmente non vedo alternativa perché mi rendo conto che le cose camminano con impeto. Ma vogliamo renderci conto di quanto sia diversa la realtà sociale italiana di oggi, di fronte a quella di anni e anni fa quando l’on. De Gasperi - ed è la mia citazione - racco­mandava a noi di essere sostenuti e un po’ riservati in ogni nostro contatto di aula o di corridoio con i colleghi comunisti? C’è una di­versità che si è determinata per la forza delle cose; non voglio trarne delle illazioni, ma perché non dobbiamo essere consapevoli di quanto le cose sono più difficili in questo momento in questo Paese che si è rimescolato, un po’ rendendosene conto, un po’ no? Ecco quanto tutto è più difficile.
Allora il problema, cari amici, è quello di un limite da stabilire nella linea di quella intesa di programma che avevamo portato fino a quel punto, con quei contenuti, con quelle integrazioni, e qui siamo stati unanimi.
In Direzione voi avete accolto questa indicazione, nel dire no al governo di emergenza, nel dire no ad una coalizione politica gene­rale con il Partito Comunista; su questo avete visto, anche dagli interventi, che vi è un atteggiamento così netto, così unanime della Democrazia Cristiana che c’è da stupirsi che il Partito Comunista abbia voluto chiedere una cosa che era scontata non potesse avere.
E questa è una cosa importante e dobbiamo ridirla in questo momento, perché è importante per ora ed è importante anche per dopo, perché è dovere reciproco di lealtà far comprendere quali so­no i limiti al di là dei quali non possiamo andare.
Una intesa politica di questo genere che introduca il Partito Co­munista in piena eguaglianza, in piena solidarietà politica con altri partiti, noi non la riteniamo possibile; rispettiamo altri partiti che la ritengono possibile in vista di un bene maggiore, come un accor­do impegnativo di programma, ma noi non la riteniamo possibile, sappiamo che cosa c’è in gioco, sappiamo che vi è un tema di politi­ca estera delicatissimo, che io sfioro appena, nel senso che vi sono posizioni che non sono solo nostre ma che tengono conto del giudi­zio di altri Paesi, di altre opinioni pubbliche con le quali siamo col­legati, quindi giudizi obiettivi dati di fatto.
Sappiamo che vi è diffidenza in Europa in attesa di un chiari­mento ulteriore nello sviluppo delle cose, e sappiamo che sono in gioco, per insufficiente esperienza vissuta, quel pluralismo, quella libertà che riteniamo siano le cose più importanti del nostro patri­monio ideale che noi vogliamo ad ogni costo preservare. Poniamo quindi un collegamento tra formule e beni, interessi e valori della nostra vita nazionale; salvaguardiamo questi valori escludendo queste formule.

Dobbiamo preoccuparci dell’ordine democratico
Vi è poi la richiesta di qualche cosa che vada al di là del program­ma concordato, qualche cosa di cui la Direzione ha parlato in ter­mini cauti, naturalmente lasciando un certo margine di interpreta­zione, immaginando cioè una convergenza sul programma arric­chito, adeguato al momento che attraversiamo e che si esprima, mi pare di capire, con delle adesioni positive. Cioè al sistema della astensione, della non opposizione, dovrebbe sostituirsi un sistema di adesioni.
So che vi è un passaggio difficile, a questo punto, legato al mo­do come si lega la concordia nel programma con la adesione al Go­verno. Credo che questo debba essere oggetto di più attenta considerazione nella Direzione e nell’ulteriore lavoro che, se voi consentirete, sarà svolto dalla Delegazione. Ma si tratta appunto di que­ste cose, non di altre cose.
Intesa quindi ancora sul programma, che risponda alla emer­genza reale che è nella nostra società; e questo, mi consentirete, pur nella mia sincera problematicità, di dirlo: io credo alla emer­genza, io temo l’emergenza. La temo perché so che c’è sul terreno economico sociale. Noi possiamo anche dire che qualche altro ha interpretato troppo rapidamente una radunata di metalmeccanici, ma credo che tutti dovremmo essere preoccupati di certe possibili forme di impazienza e di rabbia che potrebbero scatenarsi nel con­testo sociale, di fronte ad una situazione che ha bisogno di essere corretta, ha bisogno di un tempo di correzione per ridiventare co­struttiva.
È la crisi dell’ordine democratico, questa crisi latente, con alcune punte acute. Non guardate amici, soltanto alle punte acute, per quanto siano estremamente pungenti; guardate alle forme ende­miche, questa forma di anarchismo dilagante cui forse ha dato il destro, per imprudenza, lo stesso Partito Comunista quando ha deciso di convogliare nella grande opposizione alla Democrazia Cristiana le forze, sopratutto le forze giovanili del Paese, e ora si ri­trova di fronte a un fatto difficilmente domabile.
Io temo le punte, ma temo il dato serpeggiante di questo rifiuto dell’autorità, rifiuto del vincolo, questa deformazione della libertà che non fa più accettare né vincoli né solidarietà. Questo io temo e penso che un po’ di aiuto di altri ci possa giovare nel cercare di ri­parare questa crisi della nostra società.
Abbiamo quindi una emergenza economica, una emergenza politica, e io sento ‘parlare di una opposizione, del gioco della maggioranza e della opposizione. Sono in linea di principio pienamen­te d’accordo col nostro sistema che è il più perfetto, anche se limi­tato ad un esiguo numero di Stati privilegiati; con questa idea di una maggioranza e di un’opposizione egualmente sacre ed intercambiabili: ciò mi pare una cosa di grandissimo significato. Ma immaginate voi, cari amici, che cosa accadrebbe in, Italia, in questo momento, in questo momento storico, se fosse condotta fino in fondo la logica della opposizione, da chiunque essa fosse con­dotta, da noi o da altri, se questo Paese dalla passionalità continua e dalle strutture fragili fosse messo ogni giorno alla prova di una opposizione condotta fino in fondo?

Ecco che cosa è l’emergenza ed ecco su che cosa consiglio di ri­flettere per trovare un modo accettabile per uscire da questa crisi. Ho ascoltato con grande interesse le cose che ha detto Donat Cat­tin, che mi sono sembrate di grande saggezza. Egli ha sentito l’im­portanza di questo momento e ha dato degli elementi costruttivi, ci ha ricondotto a quella impostazione di programma e quadro politico: intesa sul programma e grado di cooperazione, per fronteggiare quello che può essere fronteggiato, per realizzare gli accordi che possono essere realizzati nell’ambito di alcune salvaguardie.
Era ben questo lo spirito che ci ha guidato, e mi pare che si sia lavorato molto da parte del presidente incaricato, dall’on Galloni, dei suoi collaboratori, della Delegazione, per identificare questi punti di accordo, di solidarietà sulle cose che caratterizzano questo anno della emergenza economica e politica.
Dobbiamo, io credo, continuare in questo lavoro, per un tempo lunghissimo, ci rendiamo conto che il Paese ha le sue esigenze. Ab­biamo compiuto le analisi e possiamo stringere a un certo momento. Ma io ho fiducia con l’aiuto del vostro consenso, con la guida saggia della Direzione che riflette poi le vostre stesse opinioni e vi ha anche ascoltato, di potere immaginare un accordo opportuno, misurato, legato al momento nel quale viviamo.
Si domanda che cosa accadrà dopo, essendo questo il quadro nel quale noi ci muoviamo, qualora noi riuscissimo a realizzare la con­cordia necessaria per questo anno che ci sta davanti. Io credo di poter dire che in questo anno ci sarebbero da temere sorprese. Non mi sento di dire che dopo questo anno non vi siano novità politi­che. Onestamente devo dire che su questo punto non vi è alcuna garanzia possibile. Questo non vuol dire che le cose non continui­no, ma certamente una garanzia non c’è.
Però io voglio guardare un momento questo anno che sta davanti a noi, questo anno che comincia con questa crisi, che prosegue con le elezioni amministrative, certo difficili, ma nel caos ancora più difficili, prosegue con alcuni referendum, e taluni certamente laceranti, passa per una emergenza costituzionale, termina con un evento costituzionale. Io non so se sia saggio dire se non c’è certezza per il domani non vale la pena di avere un’intesa per questo tempo. Anche questo è problematico, ma onestamente mi pare che un certo respiro di fronte a scadenze di questo genere non sarebbe male averle.
Un certo respiro che permetta a tutti i partiti, e in primo luogo alla Democrazia Cristiana, di coltivare e far valere la propria iden­tità. Se mi si dicesse che la situazione di oggi si riprodurrà domani, se mi chiedete se si riprodurrà domani in elezioni più o meno ravvicinate, la mia risposta (che può essere sbagliata ma è sincera) è: sì. Se voi mi dite fra qualche anno cosa potrà accadere, fra qualche tempo cosa potrà accadere (e io non parlo di logoramenti dei partiti, linguaggio che penso che non sia opportuno ma parlo del muoversi delle cose, del movimento delle opinioni, della dislocazione delle forze politiche), se mi dite fra qualche tempo che cosa accadrà, io dico: può esservi qualche cosa di nuovo.
Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo diretta­mente a questo domani, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma, cari amici, non è possibile oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità; si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà. Quello che è importante è affidare l’anima, la fisiono­mia, il patrimonio ideale della Democrazia Cristiana, quello che è importante in questo passaggio (se voi lo vorrete, se sarà possibile obiettivamente, moderato e significativo), è preservare ad ogni co­sto l’unità della Democrazia Cristiana.
È vero quello che io ho detto. Se do­vessimo sbagliare, meglio sbagliare insieme; se dovessimo indovi­nare, ah certo, sarà estremamente bello indovinare insieme, ma essere sempre insieme. Sono certo che nessuno di noi lo farà, che noi procederemo insieme, credo concordando, se è necessario in qualche momento anche discordando, ma con amicizia camminiamo insieme, perchè l'avvenire appartiene in larga misura ancora a noi.
C’è chi ha parlato, in questi giorni, del timore dell’egemonia co­munista e si è domandato che cosa abbiamo noi democratici cri­stiani da contrapporre democraticamente a questa forza avvolgen­te che certamente è il Partito Comunista. Io dico che noi abbiamo le nostre idealità e la nostra unità: non disperdiamole; parliamo di un elettorato liberal democratico, certo perché noi siamo veramen­te capaci di rappresentare a livello di grandi masse queste forze ideali, ma ricordiamoci della nostra caratterizzazione cristiana e della nostra anima popolare. Ricordiamo quindi quello che noi siamo.
Siamo importanti, ma siamo importanti per quest’amalgama che caratterizza da trent’anni la Democrazia Cristiana. Se non sia­mo declinati è perché siamo tutte queste cose insieme e senza queste cose insieme non saremmo il più grande partito popolare italiano. Conserviamo la nostra fisionomia e conserviamo la nostra unità. Chi pensi di far bene dissociando, dividendo le forze sappia che fa in tal modo il regalo tardivo del sorpasso al Partito Comuni­sta.
Sono certo che nessuno di noi lo farà, che noi procederemo insie­me, credo concordando, se è necessario in qualche momento anche discordando, ma con amicizia. Camminiamo insieme perché l’av­venire appartiene in larga misura ancora a noi.

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