sabato 1 marzo 2008

Riformisti, ma non à la Sarko

di GUIDO BODRATO
(da Europa)

I dodici punti del programma elettorale del Pd, pubblicato da Europa il 26 febbraio, si sono meritati l’elogio di Federico Geremicca, che ha scritto su La Stampa di una scelta che obbliga alla chiarezza: «Nessuno potrà dire di non sapere per quale ipotesi di soluzione ha votato, votando il Pd». In realtà temo anche io, come molti commentatori, che le promesse elettorali facciano parte della competizione e perdano molto del loro significato quando sono stati proclamati i risultati del voto. E, tuttavia, penso che ci apprestiamo a fare una scelta che ha a che fare con l’identità del partito che stiamo per votare.Per questo motivo seguo con attenzione la vicenda delle candidature ed ho riletto le dodici schede che sintetizzano il programma di Veltroni. Mi sono soffermato sulla scheda che dovrebbe rappresentare la continuità del dibattito parlamentare interrotto dal niet di Berlusconi al tentativo di varare un governo finalizzato alla riforma elettorale. Pensavo di leggere una proposta che sciogliesse il nodo della “bozza Bianco”, secondo le indicazioni del ministro Chiti a favore di un sistema elettorale costruito a partire dal modello tedesco, per una proporzionale capace di rispettare il pluralismo e garantire la governabilità. Invece vedo riproposta l’ipotesi avanzata da Franceschini nei giorni della crisi di governo, con un’intervista sul modello francese che fece pensare che quella era la riforma concordata tra Veltroni e Berlusconi. Una riforma che, sull’onda del referendum, avrebbe portato a un bipartitismo coatto, anche più pericoloso per la democrazia delle coalizioni coatte responsabili della fine della seconda repubblica. Non a caso alcuni politologi sostengono che il Partito democratico, decidendo di affrontare le elezioni da solo, sta realizzando per via politica la riforma elettorale che Guzzetta si proponeva di realizzare per via referendaria e hanno scritto che questa scelta strategica di Veltroni, oltre a semplificare l’orizzonte politico, ha costretto Berlusconi ad inseguirlo.In realtà le cose stanno andando in modo meno lineare. Dopo aver liberato la strategia riformista dai vincoli imposti dalla sinistra antagonista, che ora sta scendendo in campo come Sinistra arcobaleno, Veltroni ha incrinato l’identità dei democratici sottoscrivendo un accordo con Di Pietro che permette all’Italia dei Valori di competere con la propria sigla, e inserendo i radicali nella lista del Pd ha alimentato una polemica che riguarda i temi eticamente sensibili ma anche altri temi, che non hanno nulla a che fare con la questione cattolica, poiché riguardano il modello istituzionale e la riforma del welfare. Per parte sua Berlusconi ha cavalcato entrambe le strategie rese possibili dal Porcellum: ha costretto i suoi alleati all’ammucchiata emarginando chi non accettava di sottomettersi alla logica del “partito personale”, ma ha anche dato vita ad una coalizione con i leghisti della Padania e del sud, per conquistare comunque il premio di maggioranza. Così la probabile rimonta elettorale del centrosinistra è sterilizzata dal fatto che anche se per un solo voto il Cavaliere potrebbe assicurarsi una forte maggioranza parlamentare.In questo contesto, che importanza può avere l’impegno a varare una legge elettorale uninominale a due turni? Quando si è discussa questa riforma nell’assemblea del Pd? E quale rapporto c’è tra il modello di democrazia che si intende realizzare, caratterizzata da un bipartitismo coatto e quindi da istituzioni tendenzialmente autoritarie, e l’identità del partito che si sta costruendo sull’immagine del suo presidente e tendenzialmente oligarchico? Ho riletto l’intervento svolto da Gualtieri in occasione del decennale della fondazione Italianieuropei, un intervento che ho condiviso; e ho trovato nella riflessione su una democrazia decidente che non sa cosa decidere molte delle ragioni che mi rendono un oppositore irriducibile della personalizzazione della politica, del presidenzialismo e di ogni riforma che cancella la centralità del parlamento e il pluralismo della rappresentanza sociale e politica.Ha ragione Geremicca: il programma del Pd è chiaro anche sul punto, per me decisivo, della riforma della politica. E per questa ragione dopo aver pensato che il Pd fosse un’occasione storica per ripensare il popolarismo in una nuova prospettiva riformista, non vorrei vedermi costretto a dire no ad un partito di impronta sarkoziana, che rischia di diventare sempre più simile, televisivamente, al suo antagonista.Post scriptum. Leggo su Europa del 27 febbraio, mercoledì, le trenta cartelle del programma: lasciano socchiusa la porta a una riforma elettorale più aperta, che non metterebbe a rischio la Costituzione. E anche la nota dedicata a Sarkozy che «sembra un’anatra zoppa» ed è considerato, dai suoi amici conservatori, responsabile della sconfitta che si annuncia per le ormai imminenti elezioni municipali. Mi auguro che il tempo aiuti i democratici a riflettere più a fondo sul futuro della democrazia.

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