venerdì 29 febbraio 2008

Innanzitutto la vita

di ALDO MARIA VALLI
(da Europa)

Mi capita raramente di non essere del tutto d’accordo con il mio amico Stefano Menichini (Direttore di Europa, ndr). Ieri è successo quando ho letto il suo editoriale su Europa intitolato “Ma quale bioetica, qui sta cambiando tutto”, in cui rileva che, mentre il circo mediatico ha messo l’aborto al centro della contesa elettorale, neanche il tre% degli italiani e il sette% dei cattolici, stando a un sondaggio di Famiglia cristiana, giudica questo argomento un tema importante per i destini del paese. Mi viene da commentare: e allora? Da quando in qua un tema è importante in base alle percentuali dei sondaggi? Idem per quanto riguarda l’altro dato citato da Stefano, e cioè che la lista contro l’aborto di Giuliano Ferrara raccoglierebbe, al momento, fra lo 0,1 e lo 0,5% dei consensi.Ripeto con un sinonimo la pregante osservazione di prima: embè? Che cosa conta veramente: il sondaggio o la coscienza? E poi: siamo così sicuri che una questione come quella dell’aborto non abbia nulla a che fare con quelle che apparentemente sono le “emergenze”? Faccio un esempio legato alla spietata e disperante cronaca di queste ore. L’Italia è sotto choc per i due fratellini di Gravina rimasti intrappolati in un vecchio edificio da racconto degli orrori piazzato e abbandonato nel bel mezzo di una città. Considerate certe notizie, verrebbe da dire: eccoli qua i veri problemi di cui dobbiamo occuparci nel nostro povero e malandato paese.Sono la condizione dell’infanzia, il disagio sociale, il dissesto urbanistico, la questione meridionale, i padri padroni e giù giù fino alla polizia che non sa svolgere le ricerche.Altro che aborto e bioetica! E invece io dico: attenti a non farsi fagocitare da questa falsa concretezza che è solo superficialità. Perché in realtà tutto si tiene. Perché, per restare all’esempio, la condizione infelice di tanti bambini nasce proprio dalla stessa cultura e dalla stessa mentalità che vede nell’aborto un diritto.Perché il disagio sociale fatto di solitudine, abbandono e degrado è un’altra faccia della cultura contro la vita che conduce anche all’uso dell’aborto come semplice metodo di regolazione delle nascite. Perché perfino il degrado urbanistico, che sembrerebbe questione meramente tecnica, da piano regolatore più che da coscienza individuale, se si guarda bene è figlio della stessa cultura dell’individualismo e dell’egoismo che pretende di spacciare l’aborto come una libertà mentre è solo una sconfitta. E perché perfino la superficialità dei poliziotti nel fare le ricerche, così come ogni altra forma di sciatteria, è un risvolto di quella cultura della non-responsabilità e dell’indifferenza che per altre strade porta dritto dritto alla soppressione di una vita nascente.Con gli esempi si potrebbe continuare a lungo.La questione è che non si possono fare i programmi elettorali, in base a una presunta concretezza, lasciandosi suggestionare dai numeri come se si trattasse di un affare economico. Un nuovo soggetto politico, se vuole essere nuovo sul serio, deve saper guardare la realtà con sguardo profondo, che non è certo quello dei sondaggi.Sarà pure vero che in America la destra cristiana si occupa, in chiave elettorale, di mutui, salari e prezzi anziché di aborto e pillola del giorno dopo. Ma il commento resta quello di prima: e allora? Peggio per la destra cristiana americana se il suo sguardo è tanto corto. In politica, come nella vita, la realtà è un prisma dalle mille facce, ma ogni faccia è legata all’altra da un filo. La vera sfida politica oltre che culturale è trovare il filo e portarlo alla luce proprio là dove è più nascosto. Un compito che di certo non si può affidare ai sondaggi ma ha bisogno di coscienze libere e cervelli ben formati.

mercoledì 27 febbraio 2008

Il lavoro è per l'uomo

da AVVENIRE

Un seminario dell’ufficio nazionale Cei per i problemi sociali fa il punto sull’emergenza morti bianche Il vescovo di Ivrea: «È un problema che coinvolge anche la comunità ecclesiale» La sicurezza sul lavoro è un tema che non interessa solo imprenditori e sindacati.Deve stare a cuore anche a chi difende la vita in tutte le sue fasi. A cominciare naturalmente dalla comunità ecclesiale. Lo ha ricordato ieri il vescovo di Ivrea, monsignor Arrigo Miglio, ricordando come questo sia «il tipico esempio di un problema etico, la difesa della vita appunto, che si apre a una questione sociale». Il presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace è intervenuto, infatti, al seminario Tutela della vita e sicurezza nel lavoro,organizzato dall’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei e svoltosi a Roma. «La difesa della vita – ha spiegato – oltre ad avere una radice etica, ha anche conseguenze sociali positive», specie quando, come nel caso degli incidenti sul lavoro, attraverso un’adeguata prevenzione può servire a salvare dalla morte e anche a tagliare «i costi che la mancata sicurezza, alla fine, comporta». Per questo monsignor Miglio ha chiesto «maggiore sinergia tra quanti s’impegnano per la sua difesa, dagli uffici di curia ai centri di aiuto alla vita, dalle associazioni ai movimenti d’impegno sociale». A indurre l’Ufficio Cei per i problemi sociali e il lavoro a organizzare il seminario vi sono sicuramente i tanti incidenti sul lavoro, che hanno cadenza giornaliera (e particolare risonanza ha avuto nei mesi scorsi la morte di sette operai della Thyssenkrupp di Torino).Ma questo appuntamento nazionale, come ha sottolineato monsignor Paolo Tarchi, direttore dell’Ufficio Cei, «vuole andare oltre l’emotività e mettere in moto un percorso che coinvolga tutte le diocesi italiane». Si comincerà con l’organizzazione in una decina di città di incontri analoghi. E si continuerà con una sensibilizzazione diffusa sul territorio, mettendo insieme imprenditori, sindacati, lavoratori, ispettori e operatori sanitari.«Vorremmo soprattutto – ha insistito monsignor Tarchi – che cresca una consapevolezza: investire nella sicurezza del lavoro ha un ritorno economico. Spendendo 1,14 miliardi di euro, cioè lo 0,08 del Pil, si risparmierebbero costi sociali per 10 miliardi, cioè lo 0,68 per cento del Pil».Nel corso del seminario di studi, infatti, è emersa soprattutto la preoccupazione degli esperti (è intervenuto, tra gli altri, anche Giovanni Guerisoli dell’Inail) in merito alla mancata riduzione delle morti bianche nel nostro Paese.«Negli anni ’60 – ha ricordato Claudio Gessi della Cisl – c’erano circa 5000 incidenti mortali all’anno. Oggi siamo intorno ai 1400 morti all’anno. Ma questo livello si mantiene stabile più o meno dalla metà degli anni ’80. Mentre altri Paesi europei sono riusciti a migliorare, da noi questa soglia non viene intaccata». È urgente fare qualcosa di concreto. E la Chiesa italiana vuole dare il proprio contributo. Monsignor Miglio ha ricordando come più volte i presidenti della Cei, ora il cardinale Angelo Bagnasco e il suo predecessore, cardinale Camillo Ruini, abbiano «toccato questo problema». Monsignor Tarchi ha concluso: «Vogliamo essere vicini a tutte le famiglie colpite da incidenti sul lavoro. E molti sacerdoti, molti gruppi, molte comunità già lo sono nella loro quotidiana cura pastorale». Il presidente della Commissione episcopale: occorre più sinergia tra tutte le forze e maggiore prevenzione.

domenica 17 febbraio 2008

Il posto dei cattolici in un partito laico

di LUIGI BOBBA
(da Europa)

Il Pd può diventare la vera novità del sistema politico italiano. I caratteri di questa novità sono: assumere una visione positiva della laicità; interpretare il bene comune del paese diventando un vero partito nazionale; diventare il soggetto guida dell’innovazione e del futuro, essere cioè un partito autenticamente riformatore. Oggi c’è un’irruzione dei valori nel campo della politica, un ritorno forte delle identità ma anche il dilagare della poltiglia. Un paese imprigionato nella mucillagine, un “paese a coriandoli”. È dentro questa temperie che si colloca la prima sfida: quella della laicità positiva. Laicità che è ridiventata terreno di conflitto, ma anche luogo creativo. Con un’unica parola si fa riferimento a scelte ben diverse. C’è chi agita la bandiera della laicità e strepita contro una chiesa invadente, convinto che i valori che nascono dalle confessioni religiose debbano essere espunti dal dialogo pubblico.C’è chi ritiene che quei valori debbano esistere unicamente come bussola per la coscienza personale.Vi è chi – e qui mi ritrovo – è convinto che la responsabilità politica non possa che essere esercitata in piena autonomia e senza indulgere ad alcuna tentazione confessionale; ma, proprio in forza di questa concezione, chi fa politica non potrà che considerare quella multiforme realtà fatta di opere, istituzioni, movimenti che origina dalla tradizione cristiana, come una risorsa per il paese da valorizzare nella promozione del bene comune.Non si può immaginare che questa visione positiva della laicità possa essere fondata unicamente sul linguaggio della “giustizia sociale” che, dopo aver a lungo accomunato la sinistra e i cattolici, è diventato marginale per la sinistra affascinata invece da uno scientismo inteso come nuova utopia salvifica dell’uomo e della società. Se il Pd non riuscirà ad interpretare e trasformare in linguaggio politico i temi della vita come nuova frontiera della questione sociale, finirà per consegnare alla destra la rappresentanza di quei valori che evocano drammatici interrogativi sul futuro.Dunque un Pd che voglia non lasciarsi imprigionare dal laicismo nostrano né indulgere ad una visione della chiesa e dei cattolici assolutamente datata. Questo Pd ha bisogno di una visione positiva della laicità; ha bisogno di credere con Obama che «non far rifluire la propria morale personale nei dibattiti pubblici è un assurdo pratico»; ha bisogno di attingere alle fondamenta morali della nazione, fortemente intrecciate con la presenza e la tradizione cristiana. Se non opera questa scelta, il Pd è condannato a diventare un partito radicale di massa.Il secondo carattere della sfida è nella capacità di costruire un partito nazionale, del paese, riscoprendo un patriottismo ancorato a ciò che di vivo c’è in un’Italia che sembra non aver più voglia di futuro e che fatica a riconoscere la propria identità.Quel “patriottismo dolce” che si richiama alle straordinarie risorse di creatività, di originalità, di capacità di competere e di civismo solidale che il paese sa ancora generare e trasmettere. Questa strada è forse l’unica che il Pd ha per sfuggire ad un retaggio ideologico della sinistra poco propensa a riconoscere la pluralità dei talenti, il principio di sussidiarietà e la poliarchia dei poteri. E, dall’altro, per liberarsi da una visione assistenzialistica, centralistica e burocratica diventata sempre più soffocante in un tempo in cui prevalgono la velocità e la leggerezza. Serve un Pd capace di intercettare gli interessi diffusi e offrire risposte in termini di bene comune. Dove il termine è molto più pregnante di “interesse generale”, perché presuppone la partecipazione attiva di cittadini, gruppi sociali, municipi, imprese, organizzazioni non profit nel generare qualcosa che non sia la semplice creazione e redistribuzione della ricchezza, ma un valore aggiunto che nasce dal sentirsi paese, dall’orgoglio di essere italiani, dall’identificarsi con una missione che abbia un orizzonte più largo dei confini nazionali.La scelta del simbolo – un Pd bianco, rosso, verde – è coerente con questo profilo. Il Pd si veste dei colori della bandiera nazionale. È questa “la parte” che scegliamo. Partito della “nazione” ha altresì forti assonanze con tutta la presenza pubblica dei cattolici nel paese; nell’esperienza Risorgimentale; nel movimento sociale cattolico; nella nascita del Ppi, primo partito laico e non confessionale; nella resistenza e nella scrittura della carta costituzionale; nella Dc che assicurò libertà, pace e sviluppo all’Italia. L’esperienza di costruzione della democrazia in Italia non può essere compresa senza l’apporto dei cattolici. Oggi, di fronte alla deriva mediatico plebiscitaria e al prevalere dei poteri finanziari e della tecnoscienza, quella cultura non può ritirarsi nella ridotta del sociale e del volontariato. Deve irrompere anche nella politica e nelle istituzioni.Infine un partito riformatore.Anche qui il legame con il cattolicesimo sociale e popolare, è tutt’altro che irrilevante. Siamo sul terreno che ha subito i maggiori smottamenti.Il bulldozer della globalizzazione ha travolto i bastioni che le forze sindacali e politiche avevano eretto per affrontare quella che si chiamava “questione sociale”. E una battaglia meramente difensiva finirà per confinare la politica – e il Pd – nell’armamentario degli strumenti o inservibili o di dubbia utilità. Bassa natalità, precarietà del lavoro, invecchiamento della popolazione, immigrazione: sono i titoli più dirompenti che descrivono l’oggi della questione sociale.Ad essa si affianca, ormai in tutti i campi, la questione ecologica.Infine si affacciano nuove possibili discriminazioni, ancor più radicali, che possono determinarsi attraverso la manipolazione della vita, con l’ingegneria genetica e con il possibile controllo del Dna. Di qui il costituirsi di un’agenda della biopolitica.Il Pd sarà riformatore solo se saprà dare un orizzonte di futuro ai cittadini su tre grandi questioni: sociale, ecologica e bioetica.La dottrina sociale della chiesa contiene una categoria sintetica per comprendere con un solo sguardo tutte e tre le dimensioni: ecologia umana. Ancora una volta, quella radice che ha alimentato la cultura sociale e politica dei cattolici non è né rinsecchita, né fragile. Ma capace di generare futuro.

Cattolici in rete nel PD

dell'on. MIMMO LUCÀ (cristiano sociali - Partito Democratico)
(da Europa)

La chiusura traumatica della legislatura ripropone il dilemma della politica italiana: uscire da una crisi estenuante o conoscere un’ulteriore involuzione.Il respiro breve di molte forze politiche ha bloccato l’opera risanatrice e riformatrice avviata dal governo Prodi e sta esponendo pericolosamente il paese alle tensioni del disordine globale. La società italiana rischia di essere spinta oltre la soglia d’allarme di un clima di sfiducia che è oggi il suo male più grave.È uno scenario inquietante che mette alla prova, anzitutto, le grandi ambizioni riformiste del Pd. E che ci spinge, io credo, a rinnovare una forte assunzione di responsabilità come cittadini cristiani. Urge guardare oltre le angustie del presente per immettere ragioni di speranza civile nella vita del paese: idee ricostruttive che contrastino – già nella sfida elettorale – la tendenza a cristallizzare la ricerca e bloccare il confronto.Dobbiamo contribuire a promuovere una nuova stagione di fecondità dell’ispirazione cristiana, intesa come talento da condividere nella vita pubblica e nella società.Questo significa rendere riconoscibile ed efficace la visione della persona e della società, la cultura politica, l’insediamento sociale e culturale del cattolicesimo sociale e democratico, per contribuire alla costruzione non solo di un soggetto politico nuovo, ma di un orizzonte più credibile per la democrazia italiana.Abbiamo parlato di un’Italia nuova, più libera, più giusta, più solidale.Qual è il “posto” dei cattolici in questa impresa? Le “provocazioni” ostentate di Giuliano Ferrara sull’aborto e sui temi della vita, quelle più credibili di Savino Pezzotta sulle emergenze della questione sociale e della famiglia, i richiami dello stesso episcopato sui “valori irrinunciabili”, sono altrettante sfide che esigono risposte adeguate: culturali prima ancora che politiche.Raccoglierle seriamente vuol dire costituire finalmente sedi comuni e occasioni adeguate per la ricerca, la discussione, il confronto. Il direttore di Avvenire, dopo il discutibile intervento al Tg1 sull’Udc, propone con grande serietà di avviare un dialogo con il «mondo laico», sulle importanti «questioni della vita e della morte, l’amore, la malattia, il lavoro, l’educazione e la scuola».È questa, da tempo, la proposta dei Cristiano sociali. In tale dialogo, però, non si può chiedere a nessuno di rinunciare alla propria identità e alla propria verità, credente o non credente che sia. Tanto meno lo si può fare in nome del principio di laicità.Laicità, al contrario, è creare le condizioni perché nelle diverse dimensioni dello spazio pubblico sia possibile un dialogo di riconoscimento che fondi la convivenza e permetta una politica buona, anzitutto, perché orientata al bene comune.Questo è tanto più vero per il Pd.Costruire insieme un partito nuovo spinge le diverse tradizioni riformiste oltre il dialogo. Dobbiamo intensificare i percorsi che possono condurre tradizioni cristiane e laiche verso quel reciproco riconoscimento. Solo così il Pd sarà il laboratorio avanzato di una laicità rinnovata. Di fronte a inedite sfide, è compito dei riformisti elaborare una nuova grammatica della convivenza, una cultura politica e un’etica pubblica capaci di stabilire e condividere principi, valori e regole che promuovano concretamente nel paese un tessuto di convivenza civile, legalità, giustizia sociale.Difficile, altrimenti, assicurare nel Pd una coabitazione “feconda” tra Binetti e Pollastrini, Lerner e Fioroni, Follini e Cuperlo. Una tale impresa ha bisogno di luoghi appropriati, opportunità non improvvisate, tempi garantiti: nel partito, nei futuri gruppi parlamentari, nel rapporto con la società, con le istanze scientifiche, culturali, religiose. È questa, secondo me, la condizione per far valere l’apporto di quel riformismo che ha sue radici profonde: nella tradizione cristiano sociale, nel cattolicesimo democratico di matrice popolare, nel solidarismo del volontariato, dell’associazionismo di cittadinanza, del sindacato, delle comunità parrocchiali.Ecco perché, insieme ad altri amici, ho avvertito l’urgenza di collegare tutti coloro che condividono questa esigenza in un’iniziativa culturale di ampio respiro. A partire dell’idea-forza della solidarietà. Essa, per noi, qualifica in modo essenziale una concezione di giustizia che supera la dimensione individuale.Insieme giustizia e solidarietà stanno nelle più autentiche tradizioni riformiste sia cristiano-sociali e cattolico-democratiche sia di sinistra.Proponiamo un riformismo solidale all’altezza delle nuove sfide.Il lavoro comune che proponiamo vuole avere, insieme, un respiro culturale e una forte attenzione formativa.Non basta elaborare buoni contenuti; ancora più urgente è renderli consapevolmente condivisi.L’innovazione non può affermarsi contro i diritti delle persone, delle famiglie, dello spirito pubblico, del bene comune. L’azione solidale, per noi, è il complemento necessario di ogni politica. Solo così il riformismo vincerà le sfide del tempo dell’incertezza: il lavoro flessibile che diventa precarietà senza diritti; l’economia che piega tutto alla sua logica; il ritorno della guerra e il nuovo terrorismo; una questione ambientale di inedita urgenza e gravità, i problemi della famiglia.Sono queste le ragioni che ci hanno spinto in questi giorni ad avanzare una proposta: realizzare un Laboratorio di formazione e di cultura politica, denominato Italia solidarietà. Con alcuni obiettivichiave: elaborare e condividere una nuova cultura politica; favorire la circolazione delle idee nel Pd, nel sindacato, nell’associazionismo, nel paese evitando vecchie logiche correntizie; formare una nuova classe dirigente diffusa. Da questo inizio potranno scaturire in futuro ulteriori sviluppi: un’associazione culturale, una fondazione, altro ancora...In questa direzione rivolgo un appello a tutti coloro che condividono l’ispirazione e i fini di questo progetto, perché si sentano parte di questa impresa e contribuiscano a realizzarla. La posta in gioco è chiara: operare insieme perché nel futuro del Pd ci siano lo spazio adeguato e la possibilità concreta per una convergenza culturale, consapevole e non strumentale, tra le diverse componenti del riformismo cristiano, per garantire una prospettiva di pieno riconoscimento del suo contributo e della sua attualità.

venerdì 15 febbraio 2008

Ora di … bilanci #3

by Stefano

Ho provato a stendere alcuni punti di riflessione che nascono da quanto ho descritto. Sono pensieri privi di completezza, ma aperti alle riflessioni altrui. Eccoli:

1) La faziosità. Non mi apparteneva in origine; pensavo ci si potesse confrontare sui problemi, fuori dagli schematismi di partito. E invece le divisioni per partito preso (e qui vale letteralmente!) sono assai forti e radicate – ciò intristisce – anche ai livelli più bassi, quali il consiglio di quartiere oltre che quello comunale. Tutto ciò nonostante le dimensioni ridotte sembrerebbero rendere possibile la collaborazione tra formazioni diverse. Anche il mio modo di pensare è stato contagiato da questa faziosità: ora vedo infatti più steccati e più bianco vs nero di quanto non facessi prima.

2) Se la politica è un continuo compromesso tra aspirazione ideale e realtà concreta, beh… è dura non restar delusi. Ma senza questa tensione ideale, o per lo meno questo “sforzo di immaginazione”, si riduce a pura difesa di interessi. La politica cos’è? È difficile trovare il giusto equilibrio.

3) Il rapporto individuo-società. La vita pubblica non esaurisce tutte le sfere di una persona, che realizza parte delle sue aspirazioni anche nel privato. La politica, dice il diplomatico Toscano, è un misto di “idee, interessi, passioni”, e che sia anche passione non è una novità. Ma credo che confondere vita politica e vita affettiva non giovi all’equilibrio e alla pienezza di sé, per quanto talvolta possa capitare.
Privato e pubblico possono essere intesi in un senso più tecnico e a questo riguardo va riconosciuto che da anni la politica ha un ruolo di controllo della società inferiore agli attori economici: bisogna tenerne conto e riflettere sulle conseguenze. In ogni caso, quale altra forma di convivenza, più della democrazia, può limitare (non certo eliminare) le disuguaglianze??

4) Non provo molta serenità nel partecipare alla politica, per due caratteristiche. Primo, mi vergogno a chiedere il voto e a volantinare. Non che sia immorale o cosa, semplicemente mi sento imbarazzato, sono fatto così. In secondo luogo, le continue discussioni di cui si compone la politica possono essere pesanti. Credo che per trovarci un senso ci voglia un gruppo di persone con cui fare gruppo e confrontarsi; senza di esso vieno meno anche lo spazio di condivisione, sostegno e – a volte – un po’ di amicizia!

Questo è quanto.
Spilucchiare nelle proprie esperienze (per quanto ridotte, certo) a volte risponde a un bisogno, a volte al desiderio di sollecitare reazioni altrui: queste righe riflettono un po’ ambo le cose. Ma che si fa, un domani? Per quanto mi riguarda, sento la prospettiva di nuovi impegni come gravosa e per un po’ di mesi ancora ho alcuni desideri e impegni con l’università. La libertà allo scazzo, insomma, a volte è preziosa! Nonostante questo pessimo esempio, suggerisco a chi vuole interessarsi alla vita politica o sociale (il che va bene lo stesso) di non aver paura. Gli stereotipi son messi lì apposta per essere smentiti, ciò che non ci piace si può cambiare. O si prova.
un saluto a tutti

Il Futuro del popolarismo

Fra le finalità dell'Associazione Ferraris c'è anche quella di tenere viva la presenza e la proposta del cattolicesimo democratico. Riteniamo, proprio in un periodo in cui sembra prevalere la confusione politica e sui valori, e in cui i credenti sono divisi in tante formazioni politiche diverse, che sia utile proporre riflessioni che possano rappresentare un filo conduttore utile a chi pensa che il popolarismo possa contribuire ancora a costruire nel bene comune la comunità nazionale. Ciò che pubblichiamo possiamo anche non codividerlo pienamente, ma può servire a fare riflettere, a confrontarsi, e a fare cultura. Iniziamo dai giudizi espressi a Prodi che vogliono sottolineare il suo stile, la sua correttezza, e anche l'azione positiva del suo governo.


Lettera aperta al Presidente Romano Prodi
27 gennaio 2008 - Mons. Luigi Bettazzi (Vescovo emerito di Ivrea)

Onorevole Presidente,
mi permetta riprendere con Lei un uso che ebbi una trentina di anni fa, quello delle "Lettere aperte". Nel 1976 il Presidente del Consiglio, democristiano, per giustificare il suo Governo dall'aver intascato "tangenti" per favorire l'acquisto di aeroplani da una industria americana (il fatto fu così pubblico che cadde il Presidente e fu cambiato il Segretario del Partito), era uscito nell'affermazione che sarebbe stato ipocrita far finta di ignorare che "in politica fanno tutti così!" Mi chiedevo allora che senso avesse dichiararsi cristiani in politica, ricevendo magari consensi e appoggi ufficiali dalla Chiesa (come allora succedeva), se poi ci si giustificava col fatto che "in politica fanno tutti così!". Iniziai a scrivere "lettere aperte" ai politici (il mio compito all'interno di Pax Christi poteva in qualche modo giustificarlo), rivolgendomi allora all'on. Zaccagnini, nuovo Segretario della DC, per chiedergli che si impegnasse in quest'opera di trasparenza e di onestà nella vita politica. Mi appellavo a un documento pubblicato allora dalla CEI che richiamava il dovere della "coerenza, della fedeltà e di un responsabile discernimento cristiano", precisando che "questo si esprime non solo nella difesa dei grandi valori, come ad esempio quello della vita, della famiglia, della religiosità, ma innanzitutto nello sforzo sincero e operoso per realizzare una società più giusta e più solidale, in cui, fra l'altro, i valori stessi della vita, della famiglia e della religiosità possano attuarsi concretamente e universalmente, non limitandosi a dichiarazioni superficiali o a privilegi settoriali". Oggi lo faccio con Lei, non tanto per la comune derivazione bolognese, tanto meno per entrare in giudizi o scelte di carattere strettamente politico, lo faccio in un tempo in cui il degrado della vita politica è evidente, in cui troppi rincorrono interessi e privilegi particolari, in cui gli stessi grandi ideali, proposti e difesi dalla Chiesa, vengono talora strumentalizzati anche da chi nella sua vita personale ha sempre mostrato di non tenerne un gran conto. Sento di doverLa ringraziare anche come vescovo, benché emerito, per l'esempio che Ella ha dato di stile e di attenzione alla gente più in difficoltà. L'ultima Settimana Sociale dei cattolici, fra l'altro egregiamente diretta dal mio successore a Ivrea, ha puntualizzato come fine di una retta politica sia il "bene comune", cioè la creazione di quell'ambiente in cui i cittadini, le famiglie, le aggregazioni - ma tutti i cittadini, tutte le famiglie, tutte le aggregazioni (non solo chi è già più fortunato o più amico) - possano perseguire una vita operosa e fiduciosa. Nei giorni scorsi qui, in Piemonte, in un incontro con i politici di ogni provenienza, il Cardinale Arcivescovo di Torino e lo stesso Vescovo di Ivrea auspicavano "una nuova politica imperniata sui valori, non la politica-spettacolo... o la politica come semplice somma degli interessi, piccoli o grandi, di lobby e corporazioni... Un 'elogio della politica alta', un appello a tutti, cattolici e laici, per un nuovo servizio alla società, nella linea della promozione del bene comune, del dialogo, secondo le indicazioni della Costituzione conciliare 'Gaudium et spes'". Dovremmo tenere più presente questa politica alta noi cristiani, e la CEI stessa deve continuare a richiamarcela con insistenza e precisione, evitando tutti, più che mai oggi, anche solo l'apparenza di compromissioni, di silenzi significativi, di comportamenti interessati. Come è stato autorevolmente ricordato, forse il vero modo di "dare a Dio quello che è di Dio", in questo campo, è "dare a Cesare quel che è di Cesare", cioè serietà, onestà, solidarietà. Non sta a me giudicare quello che il Suo Governo ha fatto; ma ritengo che gli intenti che L'hanno guidata, la serietà, la coerenza, il dialogo, la pazienza, con cui ha agito, pur fra mille difficoltà, anche nelle ultime ore, costituiscano un forte esempio dello stile con cui tutti, proprio a cominciare dai cristiani, dovrebbero porsi al servizio del "bene comune", e di come sia possibile, quindi perseguibile, una "politica alta" Grazie, Presidente. E auguri.

Albiano di Ivrea, 27 gennaio 2007
+ Luigi Bettazzi Vescovo emerito di Ivrea


Prodi, modello di coerenza e sobrietà
(di Angelo Bertani - Europa quotidiano)

Quali sentimenti attraversano il mondo cattolico italiano dopo le dimissioni di Prodi? Sembra un deja vu, come quando lasciò l’Iri o il primo governo Prodi cadde nel 1998. Lo criticano finché sta al potere: forse perché non cura l’im­magine, gli basta dimostrare che lui è diverso. Non fa spettacolo, non si ar­ricchisce né favorisce gli amici. E lavo­ra in silenzio. Tutti sanno che al vertice c'è un galantuomo, un cattolico adulto (anche se l’autodefinizione aveva infa­stidito qualcuno, ma era vera). E quan­do lo fanno cadere... si diffonde il rimpianto. Qualcuno è anche conten­to, tra i cattolici più conservatori; ma non durerà. Infatti "lo stile è l’uomo", ma è anche un grande messaggio po­litico, una scelta programmatica.
L’economista Luigino Bruni (Fa­miglia Cristiana 10 febbraio) spiega che molti mali nostrani, il diffuso senso di impoverimento, vengono anche dagli stili di vita individualisti e consumisti.
Ci si lamenta, ma c'è in giro una quantità di lussuose berline tede­sche, di inquinanti Suv, di preziosi vi­ni d'annata. Aumentare i redditi fami­liari è necessario, dice «ma ancor più urgente è ricostruire il tessuto civile e relazionale delle nostre città e co­munità, se vogliamo che i beni eco­nomici diventino benessere di tutti, personale e collettivo». E Prodi, con la stia bicicletta, la casa al quarto pia­no, la stessa di quando si era sposato, con la stessa Flavia, 39 anni fa) è un modello alternativo, di coerenza e sobrietà. Qualcuno comincia a dire che un cattolico in politica si distin­gue anzitutto per queste cose, Il Foglio (mensile di credenti torinesi, nulla a che fare con gli atei devoti!) riconosce che le scelte politiche fon­damentali erano buone. Padre Sorge riconosce che «Prodi è stato più che bravo a tenere assieme 16 partiti ...e a tenere duro per due anni». Il vesco­vo Bettazzi in una lettera aperta: «Non sta a me giudicare quello che il suo governo ha fatto ma ritengo che gli intenti che l’hanno guidata, la serietà, la coerenza, il dialogo, la pazienza con cui ha agito pur fra mille difficoltà, anche nelle ultime ore, costituiscano un forte esempio di stile con cui tutti, a cominciare dai cristiani, dovrebbero porsi al servizio del bene comune».
Un gruppo di cristiani di Firenze aggiunge: «Vogliamo dirti che apprez­ziamo le tue scelte di trasparenza e coerenza. Questo non vuol dire che mitizziamo la tua persona o che con­dividiamo tutte le scelte... ma hai impresso un’orma culturale che ri­manda a una decisa ispirazione evan­gelica e ad una testimonianza di fede cristiana che tende ad essere adulta e laica.... » (Adista n. ll, 2008). Intanto i vertici ecclesiastici cercano interlo­cutori "affidabili" al centro e a destra, con dubbio successo.



Gentile presidente Prodi, mi scusi se la disturbo, ma non posso farne a meno: ho una domanda da porLe che riguarda un grosso problema morale a cui La prego cortesemente di rispondere. Sono giorni che con grande malessere e malinconia, mi ritrovo a ragionare da sola sul susseguirsi degli avvenimenti, cercando di ricostruire come si sia arrivati a questa catastrofica situazione. Per capirci qualcosa dobbiamo partire dall’inizio della storia, rivederci i passi salienti della XV legislatura. Ricordo in quanti siamo andati alle urne sentendo il dovere di allontanare il rischio di un nuovo governo Berlusconi, e con lui tutte le sue leggi vergogna e il rosario di sciagure che ci ha imposto a proprio vantaggio. RitenendoLa persona onesta leale e capace, gli elettori confidavano nella realizzazione di almeno una buona parte delle 280 pagine del programma dell’Unione, dove già a pagina 18 si parla di conflitto d’interessi. Questa non era una vaga promessa ma un impegno sacrosanto che si assumeva coi Suoi elettori. Un impegno ribadito con forza subito dopo la vittoria elettorale, e prima di vestire la carica di Presidente del Consiglio dei Ministri. Ne è passato del tempo, quasi due anni, ma di questo programma solo una parte ha visto la luce. Oltretutto, sui problemi più scottanti non si è neppure iniziato un dibattito, anzi si sono accantonati come si fa con i quesiti fastidiosi. Come mai? Da cosa è stato causato questo “accantonamento” dei molti problemi? Io mi rifiuto assolutamente di ritenerLa un giocoliere da Porta a Porta, che fa contratti con gli italiani e poi se la ride alle loro spalle. Temo piuttosto che Lei non abbia potuto tener fede al Suo programma perché a qualcuno della coalizione di sinistra o, meglio, sinistra-centrodestra non andava bene. Il Suo torto Presidente, mi permetta l’ardire e mi scusi, è stato quello di non denunciare subito, pubblicamente, le difficoltà in cui si veniva a trovare, a costo di recarsi in televisione e, a reti unificate, svelare la situazione, con un discorso tipo questo: “Mi rivolgo a voi, cittadini democratici che mi avete eletto vostro Presidente certi che avrei mantenuto le promesse fatte in campagna elettorale. Promesse che era mia profonda intenzione attuare, ma purtroppo mi è stato impedito. Sto a Palazzo Chigi, sì, ma in una condizione che ben si potrebbe definire di “libertà limitata”. I miei custodi sono coloro che non gradiscono cambiamenti sostanziali. Essi anelano piuttosto a poltrone, privilegi e affari. Ecco i nomi: …..” e doveva fare veramente i nomi, caro Presidente! Credo che Lei, Presidente, più di una volta abbia pensato veramente di dar fiato a questa denuncia, ma il senso di responsabilità e il timore per un futuro negativo per il Paese glieLo hanno impedito. Però a questo punto, Lei non se ne può andare con un indice di gradimento che non si merita, come non merita che si provino sfiducia e senso d’ironia verso la Sua persona. Quante volte è stato insultato, disprezzato e profondamente offeso? No, non può andarsene così, tra i lazzi di tanti rozzi-cafoni che ahimè ci accompagneranno negli anni futuri. La rispetto troppo per accettarlo. Caro Presidente, lei ha il dovere, l’obbligo di riacquistare la credibilità e la considerazione che si merita. C’è una sola strada da percorrere, anche se faticosa. Ma lo deve al Paese: fuori i nomi di chi Le ha impedito di portare a termine gli obiettivi prefissati e soprattutto le subdole scantonate ricattatorie con le quali è stato indotto ad affossare le parti essenziali del programma. È indispensabile che i Suoi elettori siano consci d’ogni pressione alla quale ha dovuto adattarsi e cedere. Dobbiamo sapere quali sono gli onorevoli che, sia in Parlamento che al Governo hanno materialmente fatto opposizione alla realizzazione di misure fondamentali per il cambiamento del nostro Paese. È un diritto che ci spetta. E Lei, professor Prodi, questo atto ce lo deve. Non solo per onorare la nostra lealtà ma anche la Sua. Il suo silenzio è sicuramente un gesto di fairplay nei confronti dei suoi avversari, ma in questo modo ci lascia nelle loro mani! Chi Le ha imposto quel numero spropositato di sottosegretari, ministri con portafoglio e senza portafoglio? Chi si è opposto all’abbattimento dei costi della politica? Chi ha bloccato, nei fatti, la più severa applicazione della riforma in materia di sicurezza sul lavoro? Chi sono le persone che hanno vanificato la realizzazione dei DICO? Chi ha voluto la vergogna dell’indulto di tre anni? Chi le ha tirato la giacchetta per tentare di portare a termine una legge-bavaglio sulle intercettazioni? Chi ha voluto il commissario De Gennaro a Napoli, il super-poliziotto di buona memoria alcuna in materia di gestione dei rifiuti? Chi si è messo di traverso per bloccare la tassazione delle rendite finanziarie? Chi ha impedito un serio confronto sulle missioni all’estero? E sulla base di Vicenza? Chi Le ha fatto ingoiare l’accettazione di quel impegno capestro? Tutte scelte soltanto Sue? Ma chi ci può credere?! Come diceva Socrate: “Solo rovesciando la tunica lisa si può leggere con chiarezza la storia di chi l’indossava.” Quindi sarebbe davvero utile che Lei spiegasse pubblicamente a tutti i cittadini italiani le vere ragioni che hanno portato prima al giornaliero logoramento e poi alla caduta del Governo da Lei presieduto. Non può tacere i motivi veri della crisi, altrimenti permetterebbe che coloro che hanno deliberatamente affossato il Suo Esecutivo, possano tranquillamente continuare ad abbattere qualsiasi tentativo serio di modificare la situazione di grave deterioramento, politico, economico e sociale, del nostro Paese. E non mi riferisco soltanto a responsabilità dell’opposizione ben organizzata (questo è il mestiere del polo conservatore!) ma piuttosto al tradimento messo in atto da elementi di governo in combutta con ambigui faccendieri. Se non si assume, una volta per tutte, il coraggio politico di fare chiarezza, ci troveremo come sempre a roteare nel cerchio dell’ignavia, dal quale non si uscirà mai. Le avvisaglie di questo torbido clima, che alla fine ci ha portato alla débâcle, ci erano apparse palesi fin dall’inizio di questa Legislatura: dal primo giorno in Senato, quando dovevamo eleggerne il Presidente. Si ricorda le tre votazioni andate a vuoto? Tre votazioni! Per tre volte i Suoi senatori, sbagliavano il nome o il cognome: Franco Marini (il prescelto) con Francesco Marini o Giulio Marini o Ignazio Marino, con l’aggiunta di schede bianche. Insomma, i numeri non c’erano. La seduta è finita a tarda notte senza nulla di fatto. Quando “novella senatrice” chiedevo: “Ma che sta succedendo? Come può accadere che sbaglino? Non è difficile!” mi si rispondeva: “Qualcuno della nostra coalizione manda messaggi: richieste rivolte al Presidente del Consiglio. Vogliono qualcosa, stanno bussando e attendono risposta come a tre sette! Finché non l’avranno ottenuta, niente Presidente!” “Ho capito! – ho esclamato – È un gioco al ricatto! Mio Dio, ma dove sono capitata?! È questa la politica?” Se tanto mi dà tanto mi domandavo: quante telefonate in codice avrà ricevuto, Presidente, e pressioni, e messaggi: “Io do, tu mi dai… noi ti appoggiamo, tu ci favorisci. Quanti sottosegretari sei disposto a sistemarci? Quanti ministeri? Quali favori?” Insomma, la solita danza da pochade con porte, portoni e portali che si aprono e chiudono in tempo e contrattempo. Temo che tutto quanto è successo sotto i miei occhi da neofita stupita, in questi 23 mesi si sia ripetuto a tormentone: “O mi favorisci o mi astengo e tu inciampi e vai giù piatto a terra”. La partita è chiusa, d’accordo… E che facciamo? Ce ne andiamo mesti per non aver reagito con solerzia all’andazzo del prender tempo nella speranza d’arrangiare ogni situazione? Io non credo si possa rimontare da sotterrati. So che è duro, ma questo è il tempo di non accettare supinamente, senza un moto di orgoglio, d’esser gettati nella discarica dei refuses politici e soprattutto è ora di denunciare le responsabilità di chi all’interno della coalizione ha remato contro, trascinando il Paese a questa rovina, evitando di incolpare la malasorte che sghignazza sempre nell’angolo basso della storia. Ora è “solo” Presidente. È il Suo momento. Lei deve finalmente parlare. Deve dare una risposta decisa alla domanda che in tanti Le poniamo: “Perché non ha reagito alle imposizioni ricattatorie da subito… perché non si è impegnato con tutte le sue forze e sul conflitto d’interessi e sulle leggi vergogna?” Attendiamo in TANTI una risposta. Con stima.

Franca Rame

domenica 10 febbraio 2008

Ora di … bilanci #2


by Stefano


Diario alla mano, provo dunque a ripercorrere quanto fatto.

Il consiglio di quartiere è un organo consultivo, il che vuol dire che dovrebbe far proprie le istanze degli abitanti e riferirle in Comune. In realtà la sua utilità dipende molto da zona a zona: ci sono quartieri con un’identità forte (come oltreponte o il valentino) ed altri con un’attività dei consigli di quartiere più ridotta (come il mio: centro-ronzone).
È un consiglio di quartiere a maggioranza di centrodestra, per 10 consiglieri contro 6 mi pare. Ci si trova abbastanza di rado, si polemizza molto ma con pochi risultati pratici: un po’ per poche risposte dal Comune, un po’ per scarso impegno di noi consiglieri (NON siamo pagati, tranquilli!). Ecco infatti alcune cose che ho proposto e l’esito:
- avere una mail ufficiale di quartiere sul sito del comune: mai istituita
- una cazzo di sede per le riunioni (ci troviamo in una bocciofila!): non ci è ancora stata assegnata
- un parapetto sul canale zona rotondino, su richiesta di una madre di famiglia: niente
E ancora:
- avevo proposto di organizzare una conferenza sulla bioarchitettura: niente
- grandi polemiche sono sorte su bonifica eternit, nuova ZTL, porta a porta: almeno quest’ultimo (difeso da noi del centro-sx) sembra che funzioni bene, ma non cantiamo vittoria…!

Nel frattempo ho partecipato (a fasi alterne) al gruppo giovani della margherita: abbiamo organizzato alcune conferenze: col Sermig / sull’ambiente / una molto bella sul futuro delle nostre colline. Solo in parte, però, siamo riusciti a coinvolgere altri giovani… ma è ancora da vedere se partecipare alla vita di un partito sia una cosa sana x un giovane! ; )
Meglio l’indifferenza, la comune discussione tra cittadini o la partecipazione attiva? Chiedo a chi legge: cosa pensate?!
[segue]

sabato 9 febbraio 2008

Ora di … bilanci #1

by Stefano

Maggio 2004. Facevo il primo anno di università, ho chiesto al Franci se potevo dare una mano, in qualche modo, per le elezioni cittadine e poco dopo mi hanno proposto di fare il consigliere di quartiere al centro-ronzone. Mi sono candidato per il centrosinistra ed ho distribuito il seguente volantino:

"Che senso può avere oggi fare politica?
La realtà contemporanea è attraversata da nuovi problemi: la convivenza tra diversi gruppi etnici, la crisi ecologica, l’insicurezza verso i modelli di riferimento. A far fronte a questo contesto si sono poste esperienze spesso esterne ai partiti tradizionali. In particolare il mondo dell’associazionismo e del volontariato che si impegna a favore di uno sviluppo sostenibile e di una società pluralista, mentre nel campo dell’istruzione sta maturando una lungimirante attenzione ad educare alle sfide aperte dall’integrazione europea.
È questo l’ambiente in cui mi sono formato.
Si comprende dunque il significato per la Margherita e il centro-sinistra di sperimentare una poltica capace di recepire queste spinte innovative provenienti da una società in rapido mutamento. Cuore di una diversa concezione di fare politica diventa così l’idea che la dignità umana debba essere la radice di una cultura della pace e che una concreta e realistica attenzione per l’ambiente posso essere uno degli assi possibili su cui costruire il futuro.
Combattere la smog con ecologiche biciclette, tutelare il territorio per favorire il turismo e cercare anche nei progetti europei fondi per lo sviluppo economico e urbano sono alcune ricadute nel nostro quotidiano della volontà di lavorare nel contesto locale dedicando molta attenzione anche alle dimensioni più ampie.
Questo è ciò in cui credo.
Attraverso l’ascolto e l’impegno intendo essere portavoce dei problemi, dei bisogni e delle aspirazioni della nostra circoscrizione. Come cittadino."

Sono passati 4 anni da quando sono stato eletto. A rileggere tutti i belli ideali che esponevo, vedo com’è difficile confrontare le “parole” con i “fatti”. Sento necessità quindi di fare un bilancio: se qualcuno lo percepisce come autocelebrativo, non legga i miei prossimi articoli. Ciao

p.s. Sarebbe bello se altri volessero parlare delle loro esperienze con la politica, dentro e fuori; serve per confrontarsi.

Traguardo


Abbiamo superato i 1.000 contatti!! grazie a tutti i visitatori!!
Però non dimenticate ... di lasciare i vostri commenti : )

lunedì 4 febbraio 2008

M’ILLUMINO DI MENO 2008

Manacano davvero pochi giorni alla Giornata Internazionale del Risparmio Energetico organizzata, per il quarto anno consecutivo da Caterpillar, il programma radiofonico di Radio2: il 15 febbraio 2008 (vigilia dell'anniversario dell'entrata in vigore del protocollo di Kyoto) sarà una grande giornata di mobilitazione internazionale in nome del risparmio energetico.
Dopo il successo delle passate edizioni, anche quest'anno l'obiettivo è quello di dimostrare come il risparmio sia una possibilità concreta e reale a cui attingere oggi stesso per superare i problemi energetici che assillano il nostro paese e gran parte delle nazioni del pianeta. L'invito rivolto a tutti è quello di spegnere le luci e tutti i dispositivi elettrici non indispensabili il prossimo 15 febbraio dalle ore 18. Semplici cittadini, scuole, aziende, musei, società sportive, istituzioni, associazioni di volontariato, università, ristoranti, negozianti e artigiani uniti per diminuire i consumi in eccesso e mostrare all'opinione pubblica come un altro utilizzo dell'energia sia possibile.
Nelle precedenti edizioni "M'illumino di meno" ha contagiato milioni di persone impegnate in un'allegra e coinvolgente gara etica di buone pratiche ambientali. Lo scorso anno il "silenzio energetico" coinvolse simbolicamente le piazze principali di tutt'Italia: a Roma si spensero il Colosseo, il Pantheon, la Fontana di Trevi, il Palazzo del Quirinale, Montecitorio e Palazzo Madama; a Verona l'Arena; a Torino la Basilica di Superga; a Venezia Piazza San Marco; a Firenze Palazzo Vecchio; a Napoli il Maschio Angioino; a Bologna Piazza Maggiore; a Milano il Duomo e Piazza della Scala; a Pisa Piazza dei Miracoli; a Siena Piazza del Campo; a Catania Piazza del Duomo; ad Agrigento la Valle dei Templi; ma centinaia di altre piazze in centinaia di altri comuni grandi e piccoli, grazie al prezioso aiuto dell’ ANCI, l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani.
Sul sito internet del programma sarà possibile segnalare la propria adesione alla campagna, precisando quali iniziative concrete si metteranno in atto nel corso della giornata, in modo che le idee più interessanti e innovative servano da esempio e possano essere riprodotte dagli altri aderenti.
Per il momento nella nostra zona hanno aderito all'iniziativa il Comune di Casale Monferrato, quello di San Salvatore Monferrato, l'Eltek Group e la cooperativa S.e.n.a.p.e. di Casale Monferrato. Ad ognuno il compito di diffondere l'iniziativa e di prodigarsi perchè in tanti vi aderiscano.